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When We Rise

1 stagioni - 8 episodi vedi scheda serie

Serie TV Recensione

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La recensione su When We Rise

di supadany
4 stelle

La dedizione a una causa, qualunque essa sia, è un valore inestimabile, ma quando travalica ogni confine, rischia di trasformarsi in un’ossessione, un boomerang che torna indietro, un limite che compromette il risultato finale, riducendone, senza nemmeno volerlo, la portata.

Un po’ come la storia raccontata nella serie insegna, con tutte quelle divisioni che rendono ogni tentativo d’azione più tortuoso, lo stesso sviluppo di When we rise porta scompensi che qualunque occhio non rimanga assorto alla rilevanza degli atti - comunque di capitale importanza - non può fare a meno di notare.

È vero che la serialità offre ampi spazi di manovra, ma in questo caso riassumere quarantacinque anni di storia dei movimenti LGBT e della loro lotta per la conquista dei diritti civili in soli otto episodi equivale a strangolare il racconto stesso che, salvo in un caso (il quarto episodio, quasi unicamente dedicato alla rapida diffusione dell’Aids), è un continuo lanciar sassi senza aspettare l’effetto della loro caduta, se non nell’atto definitivo.

Stati Uniti, 1972. Mentre imperversa la guerra in Vietnam, le donne americane cominciano a protestare per richiedere trattamenti equiparabili a quelli degli uomini. Contemporaneamente, sono in atto azioni delle comunità gay e dei neri, ma tra loro la comunicazione è faticosa.

Grazie a personalità integerrime come quelle di Cleve Jones (Austin P. Mckenzie/Guy Pearce), Ken Jones (Jonathan Majors/Michael K. Williams) e Roma Guy (Emily Skeggs/Mary-Louise Parker), comincia a profilarsi un fronte comune con il dichiarato obiettivo di far sentire anche ai muri più sordi la sua voce.

Servono comunque anni per conquistare ogni quarto di miglio, mentre fa la sua comparsa l’Aids e i Presidenti degli Stati Uniti si susseguono, tra chi non ha alcuna intenzione di regalare nulla – Ronald Reagan e i Bush - e chi promette e poi non mantiene, come Bill Clinton.

La battaglia per la conquista dei diritti civili conoscerà una svolta reale, ma non ultima, solo negli anni duemiladieci.

 

Michael Kenneth Williams, Guy Pearce

When We Rise (2017): Michael Kenneth Williams, Guy Pearce

 

Riassumere più di quarant’anni di storia è sempre un’impresa. Per un lungometraggio si tratta di fare dei salti mortali, per una serie televisiva ci sono spazi più congrui, ma nel caso di When we rise rimane un limite che fa sentire tutto il suo peso.

Infatti, c’è troppo materiale da discettare e Dustin Lance Black si adopera per riassumere in un arco narrativo ristretto ciò che avrebbe necessitato di almeno tre stagioni di analoga durata per potersi diramare secondo una gestazione completa.

L’effetto che ne deriva è riassuntivo, i salti sono di palo in frasca – ad esempio nel quinto episodio si passa attraverso addirittura tre diverse presidenze, Ronald Reagan, George Bush e Bill Clinton -, così come il sole sorge e tramonta, gli eventi volano via, sfuggono di mano e non c’è quasi mai il tempo per gioire o piangere appieno, quasi tutto viene relegato a un battito di ciglia. Ciò che vediamo compare per poi scomparire nell’essenza lasciando solo frutti acerbi, per quanto poi il messaggio - iniziale, finale e centrale - sia di una limpidezza inequivocabile.

Le discriminazioni sono un cancro che maltratta chi ne è oggetto, un’azione predeterminata che annienta corpo e spirito, mentre contemporaneamente dividere è sempre più facile di unire. Le donne subordinate e relegate al ruolo di casalinghe a sfornare torte, le loro colleghe lesbiche viste come uno scherzo della natura, i neri («Cosa ci può essere di peggio che essere un uomo nero nel 1972? Essere anche omosessuale») e i gay hanno ideali difficili da combinare, già solo creare un fronte comune sembra un’impresa epica e il motto «Un solo problema, una sola lotta» ha avuto bisogno di decadi per diventare effettivo.

Un lungo periodo che nella sua estrema sinterizzazione rischia anche di infastidire, per esempio quando attacca l’emozione forte con modalità talmente estemporanee da apparire ricattatorie (i servizi sociali che tolgono a Cleve una neonata che lui stesso aveva salvato dall’incuria), con solo un aspetto in grado di trovare un minimo di respiro, ossia la manifestazione dell’aids, che ha un episodio dedicato (il quarto), non per niente il migliore del mazzo.

Detto questo, l’impegno è apodittico e in questo il personaggio di Cleve Jones, soprattutto quando assume il volto consumato di Guy Pearce, è emblematico nella testimonianza di una lotta che ha troppo da fare per prendere in considerazione la parola resa, per mollare la presa di fronte anche agli scogli più spigolosi.

Il resto del ricco cast pesca dal teatro due volti freschi e interessanti – Austin P. Mckenzie ed Emily Skeggs – e dal cinema le sue sicurezze, con appunto Guy Pearce a primeggiare e Mary-Louise Parker consona nel costituire una normalità sempre in attesa di una svolta che tarda a venire, mentre Michael Kenneth Williams è l’ideale anello di congiunzione con la migliore forma di serialità (The wire, Boardwalk empire – L’impero del crimine, The night of e Hap and Leonard).

 

Mary-Louise Parker

When We Rise (2017): Mary-Louise Parker

 

Alla fine, è quasi fastidioso avere di che ridire quando un soggetto prodigo di energia, passione e lirismo, tratta un argomento che sotto mutate spoglie riguarda ognuno di noi (mai come oggi, magari anche a sproposito, vige un sentimento di privazione di qualcosa che consideriamo fondamentale), ma When we rise indossa il paraocchi e procede dritto per dritto con tale velocità che il suo stesso affresco prende una forma definitiva solo quando arriva a fine corsa.

Una rettitudine che spossa, smuove l’acqua più torbida e riesce a parlare anche ai sassi, ma con transizioni talmente brusche e traiettorie talmente rapide da non lasciare un congruo tempo di assimilazione, se non nella sua principale portata etica e morale.

Un impasto mal lievitato per una battaglia infinita, un gioco di squadra con un roster in costante evoluzione, tra il sanguigno e l’esangue, folgorazioni dettate da reagenti che accendono la miccia e risvegli troppo violenti che limitano l’armonizzazione.

Un ensemble dalla digestione complicata, come bere un bicchiere di acqua ghiacciata tutto d’un fiato.

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