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Angoscia

Regia di George Cukor vedi scheda film

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La recensione su Angoscia

di Letiv88
8 stelle

Elegante, teso e moderno per l’epoca. Un thriller psicologico senza tempo.

Angoscia (1944), diretto da George Cukor, è un thriller psicologico d’atmosfera che gioca tutto sulla tensione mentale e sui meccanismi del controllo psicologico. Un film elegante e claustrofobico, con un impianto scenico ricercato e una regia che dosa i tempi con precisione. Ma soprattutto, Angoscia è il film che ha dato origine al termine “gaslighting”. Già solo per questo si merita un posto nella storia. Ma c’è molto di più: interpretazioni magistrali, scenografia splendida e un senso di inquietudine che ti si attacca addosso. Non un capolavoro assoluto, ma un film solidissimo, moderno per l’epoca e ancora oggi capace di trasmettere tensione e disagio emotivo.

Londra, epoca vittoriana. La celebre cantante lirica Alice Alquist viene assassinata nella sua casa. A trovare il corpo è la giovane nipote Paula (Ingrid Bergman), che rimane profondamente segnata dall’evento. Per superare il trauma e proseguire gli studi, la ragazza viene mandata in Italia da un maestro di canto che aveva collaborato con la zia. Dopo dieci anni, Paula conosce Gregory Anton (Charles Boyer), un affascinante pianista. I due si innamorano rapidamente e si sposano. Gregory la convince a smettere di cantare e a tornare a Londra per vivere proprio nella casa ereditata da Alice. Sebbene inizialmente titubante, Paula accetta.

Ma nella vecchia abitazione cominciano a manifestarsi stranezze inquietanti. Paula inizia a sentirsi confusa, dimentica dove mette gli oggetti, percepisce rumori sospetti provenienti dalla soffitta e nota il comportamento sempre più ambiguo del marito. Gregory, invece di rassicurarla, sembra alimentare i suoi dubbi, insinuando che possa star perdendo il contatto con la realtà. A complicare tutto c’è Nancy (Angela Lansbury), la giovane cameriera dalla presenza poco rassicurante. L’isolamento e l’insicurezza di Paula aumentano giorno dopo giorno, mentre il clima nella casa diventa sempre più teso. Ma quando Brian Cameron (Joseph Cotten), un ispettore di Scotland Yard che in passato aveva ammirato la zia Alice, entra in scena, si apre una nuova prospettiva che potrebbe cambiare tutto. I misteri legati all’omicidio di Alice Alquist e alle strane presenze in casa trovano lentamente un senso, conducendo a un finale teso e liberatorio, dove la verità viene finalmente a galla.

George Cukor firma una regia pulita, precisa, che lavora per sottrazione: evita eccessi e si affida alla tensione sottile, ai silenzi, alle inquadrature studiate. Tutto si consuma negli spazi chiusi della casa, che diventa un vero e proprio personaggio, opprimente e soffocante. Le riprese furono effettuate interamente su set ricostruiti: persino le (poche) scene esterne vennero girate in studio, così da poter controllare ogni minimo dettaglio dell’ambientazione vittoriana.

La fotografia in bianco e nero di Joseph Ruttenberg, candidata all’Oscar, è parte integrante di questa costruzione: evoca la classica Londra avvolta nella nebbia, accentua il senso di smarrimento e valorizza i chiaroscuri. Le lampade a gas che si affievoliscono diventano un simbolo visivo di ansia e manipolazione. La scenografia, curata nei minimi dettagli, vinse meritatamente l’Oscar: premiati Cedric GibbonsWilliam FerrariEdwin B. Willis e Paul Huldschinsky per la miglior scenografia in bianco e nero.

Basato sulla pièce teatrale di Patrick Hamilton, il film conserva la struttura del dramma da camera e la espande con intelligenza. I dialoghi sono tesi e ambigui, ogni battuta può avere più letture, e l’evoluzione narrativa è graduale ma avvolgente: si entra lentamente nella mente della protagonista, fino a percepirne i dubbi e le paure. Il ritmo è volutamente dilatato, ma funzionale alla tensione crescente.

La sceneggiatura, firmata da John Van DrutenWalter Reisch e John L. Balderston, evita spiegazioni didascaliche e preferisce il linguaggio degli sguardi, delle espressioni, delle pause. Un lavoro raffinato che le valse una meritata candidatura all’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale.

Ingrid Bergman è semplicemente magnifica. Riesce a rendere ogni sfumatura del suo personaggio: l’ingenuità iniziale, la paura crescente, il senso di impotenza e infine la dignità. Ha vinto l’Oscar come miglior attrice protagonista e il Golden Globe nella stessa categoria, ed era il minimo. Si era preparata in modo meticoloso, studiando una paziente in un istituto psichiatrico per restituire con realismo il deteriorarsi psicologico del suo personaggio. Charles Boyer è impeccabile: freddo, calcolatore, mai sopra le righe, e proprio per questo agghiacciante. La sua interpretazione gli valse una nomination all’Oscar come miglior attore protagonista. Dietro le quinte non mancò qualche tensione: David O. Selznick, produttore di Bergman, inizialmente non voleva concederla alla MGM perché Charles Boyer pretendeva che il suo nome apparisse per primo nei titoli di testa. Fu proprio Ingrid Bergman, fortemente determinata a ottenere il ruolo, a convincerlo a cedere i diritti per la sua partecipazione.

Joseph Cotten è un buon contraltare positivo, mentre Angela Lansbury (Nancy), al suo esordio, spicca nei panni della cameriera insolente. La sua prova sorprendente le fece guadagnare una nomination all’Oscar come miglior attrice non protagonista. Aveva solo 17 anni ma mostrava già un carisma incredibile: un debutto che segnò l’inizio di una carriera lunghissima, fino alla futura “Signora in Giallo”.

Angoscia è il remake di un film britannico del 1940, anch’esso intitolato Gaslight, diretto da Thorold Dickinson e interpretato da Diana Wynyard e Anton Walbrook. La versione originale ebbe un buon successo critico in patria, tanto da spingere la MGM ad acquistarne i diritti per produrne una nuova versione americana con un cast internazionale. Per evitare confronti diretti, lo studio tentò persino di far ritirare dal mercato tutte le copie del film inglese, rendendolo per anni una rarità cinematografica.

Il film è celebre per aver dato origine al termine “gaslighting”, oggi usato per indicare una forma di manipolazione psicologica in cui una persona cerca deliberatamente di far dubitare un’altra della propria memoria o percezione. Il termine nasce proprio dalle scene in cui la luce delle lampade a gas si affievolisce misteriosamente. Comparso per la prima volta negli anni ’50, il termine è tornato prepotentemente in uso nel XXI secolo, fino a essere proclamato parola dell’anno 2022 dal Merriam-Webster.

Oltre all’impatto linguistico, Angoscia ha lasciato un’impronta profonda nel cinema: ha influenzato decine di thriller psicologici successivi, da Rosemary's Baby - Nastro rosso a New York (1968) a A letto con il nemico (1991), contribuendo a creare l’archetipo della donna intrappolata in una realtà che la fa dubitare di sé stessa. Non a caso, l’American Film Institute lo ha inserito tra i cento migliori film thriller e horror di tutti i tempi.

 

Angoscia è un thriller raffinato e soffocante, avanti anni luce rispetto al suo tempo. Non ha bisogno di effetti speciali per colpire: bastano una regia impeccabile, attori in stato di grazia e una sceneggiatura tagliente. Gli si può rimproverare un certo ritmo lento e qualche sfumatura melodrammatica, ma resta un film imprescindibile, sia per il suo valore cinematografico, sia per l’influenza profonda che ha esercitato sulla cultura popolare. Un classico che continua a esercitare il suo fascino inquieto con immutata forza.

 

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