Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
Un film perfetto nell’equilibrio tra suspense, passione e morale. Hitchcock costruisce tensione senza esplosioni, lasciando che siano i personaggi a tenere lo spettatore con il fiato sospeso.

Con Notorious - L'amante perduta (1946), Hitchcock abbandona i giochi di prestigio visivi per scavare nel cuore dell’ambiguità umana. È un film di spie, certo, ma il suo vero centro è la fiducia, la colpa e il desiderio. Dietro l’intrigo si nasconde un dramma d’amore velenoso e sottile, dove ogni sguardo pesa più di mille parole. È uno dei film più eleganti e inquieti del regista, un perfetto equilibrio tra romanticismo e tensione morale, in cui la passione diventa una forma di tortura.
Elena Huberman (Ingrid Bergman), figlia di una spia nazista condannata, cerca di riscattare il proprio nome accettando una missione per il governo americano: infiltrarsi in un gruppo di ex nazisti rifugiati in Brasile. A reclutarla è l’agente Devlin (Cary Grant), un uomo affascinante ma dominato da un rigido autocontrollo. Tra i due nasce un sentimento represso, fatto di orgoglio e desiderio, che esplode nel momento in cui Elena deve sedurre e sposare Alessio Sebastian (Claude Rains), uomo nobile e malinconico, ma compromesso con un misterioso traffico di uranio.
Più l’inganno avanza, più la linea tra dovere e amore si assottiglia, fino a trasformare la missione in una trappola emotiva e fisica. Hitchcock gioca costantemente con l’idea di sacrificio: Elena rischia se stessa, mentre Devlin resta prigioniero della propria incapacità di fidarsi.

Hitchcock orchestra tutto con una precisione millimetrica. La tensione non nasce da inseguimenti o spari, ma dai silenzi, dai gesti, dagli sguardi. Celebre la carrellata che dall’alto scende lentamente fino alla chiave stretta nella mano di Elena: un movimento di macchina perfetto, che guida l’occhio e svela il peso simbolico degli oggetti. È la quintessenza della sua “regia invisibile”, dove l’emozione è costruita attraverso lo spazio e non la parola.
La luce, disegnata da Ted Tetzlaff, ha un ruolo da protagonista: scolpisce volti e superfici con uno splendore alterno, gelido o incandescente. Il film è un mosaico di riflessi, vetri, metalli e tessuti che amplificano il senso di claustrofobia e desiderio. Le ambientazioni sembrano prigioni dorate, luoghi dove l’amore diventa un rischio e la verità un veleno.
Nonostante sia etichettato come “film di spionaggio”, Notorious attraversa più generi: il mélo sentimentale, la commedia sofisticata e il thriller psicologico. È anche l’ultimo film apertamente antinazista di Hitchcock, chiusura ideale di quella fase d’impegno politico che comprende Il prigioniero di Amsterdam (1940), Sabotatori (1942), Prigionieri dell’oceano (1944) e i due cortometraggi realizzati durante la guerra, Bon Voyage (1944) e Aventure malgache (1944) realizzati durante la guerra.
Girato quasi interamente nei teatri di posa della RKO, Notorious restituisce comunque la sensazione di essere immersi nel caldo e nell’eleganza tropicale di Rio. Hitchcock crea un Brasile mentale, fatto di luci, ombre e desideri repressi, più reale del vero.

Il film nasce dal racconto The Song of the Dragon (1921) di John Taintor Foote, adattato da Ben Hecht. Inizialmente doveva essere prodotto da David O. Selznick, ma il progetto passò alla RKO Pictures, dove Hitchcock ottenne maggiore libertà creativa. Selznick rimane comunque legato al progetto come produttore.
Hecht scrive una sceneggiatura tagliente, costruita su dialoghi che celano più di quanto dicono. La storia ruota attorno al conflitto tra amore e dovere, morale personale e bene collettivo: ciò che per l’individuo è immorale può diventare necessario per la causa comune. Elena si trova divisa fra due uomini: uno che ama ma che non sa fidarsi di lei, e un altro che l’ama sinceramente ma che lei è costretta a tradire come moglie e come spia. Il lavoro di Hecht ricevette una candidatura all’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale.
Sottotraccia emerge anche un chiaro tema edipico, tipico del cinema maturo di Hitchcock: la madre di Alessio è una figura dominante, sospettosa e moralmente inflessibile, capace di annientare ogni libertà affettiva del figlio. Un rapporto malato che, come spesso accade nei film del regista, diventa metafora del controllo e della repressione.
Il bere è un altro motivo ricorrente, quasi un filo conduttore morale. Dai doppi whisky iniziali ai bicchieri di champagne, fino al veleno disciolto nel caffè: ogni liquido diventa simbolo di colpa, illusione o dipendenza. Elena inizia ubriaca e finisce intrappolata in un torpore che Devlin scambia per debolezza — errore che la sceneggiatura trasforma in un nodo tragico e perfettamente umano.

Ingrid Bergman è straordinaria. Hitchcock la filma come un oggetto prezioso e fragile, ma la sua interpretazione è tutt’altro che passiva: Elena è vulnerabile e insieme determinata, sensuale ma lucida, una donna che vive in bilico tra sacrificio e dignità. È uno dei personaggi femminili più forti e complessi dell’intera filmografia del regista. Cary Grant, glaciale e impeccabile, costruisce un Devlin trattenuto e ambiguo, incapace di mostrarsi davvero. La sua recitazione è fatta di silenzi e sguardi, e proprio in quei silenzi si consuma il tormento del personaggio. La chimica tra lui e Bergman è magnetica: non c’è dolcezza, ma tensione continua, fatta di desiderio represso e accuse taciute.
Claude Rains, nel ruolo del nazista innamorato, è un antagonista di rara umanità. Il suo Sebastian non è un mostro, ma un uomo condannato dai propri sentimenti. La sua interpretazione aggiunge al film una nota tragica e dolorosa: il suo sguardo ferito nell’ultima scena vale più di qualsiasi dialogo, un lavoro che gli valse anche una candidatura all’Oscar come miglior attore non protagonista.

Tre sequenze restano scolpite nella memoria: il bacio sul balcone, la scena del ricevimento e una sequenza conclusiva intensa.
Il bacio tra Grant e Bergman, della durata di circa tre minuti, entrò nel Guinness dei primati come il più lungo nella storia del cinema fino ad allora. A causa del Codice Hays, che vietava baci superiori ai tre secondi consecutivi, Hitchcock costruì la scena come una serie di brevi baci alternati a gesti quotidiani e dialoghi sussurrati. Il risultato è una delle sequenze più sensuali e raffinate mai girate.
La bottiglia di vino contenente uranio anticipa la paranoia nucleare del dopoguerra e diventa il classico “MacGuffin” hitchcockiano: un pretesto narrativo che serve solo a muovere la storia, perché ciò che conta non è cosa contenga, ma ciò che scatena nei personaggi.

Come di consueto, Hitchcock compare in un cameo: durante la festa nella villa di Sebastian lo si vede bere un bicchiere di champagne e muoversi tra gli ospiti, un dettaglio discreto ma ormai iconico.
Nel 2001 l’American Film Institute ha inserito Notorious al 38º posto nella classifica AFI’s 100 Years…100 Thrills, dedicata ai migliori film thriller e di suspense di tutti i tempi, e nel 2002 all’86º posto nella classifica AFI’s 100 Years…100 Passions, riservata ai migliori film sentimentali.

Notorious è un film sull’ambiguità dei sentimenti, sull’amore come forma di potere e sacrificio. Hitchcock costruisce una tensione che non esplode mai ma brucia sottopelle, fondendo eleganza visiva e profondità morale. Ogni dettaglio, ogni luce, ogni parola serve a tenere lo spettatore nel dubbio: chi ama davvero? chi tradisce? e fino a che punto si può mentire per amore?
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