Regia di Delbert Mann vedi scheda film
CICLO - IL CINEMA DELLA SOLITUDINE SENTIMENTALE - INCEL, FEMCEL ED ALTRI SOFFERENTI PER AMORE
1# L'EREDITIERA DI WILLIAM WYLER (1949): LA PRIMA FEMCEL //www.filmtv.it/film/15910/l-ereditiera/recensioni/938289/
2# NESSUNO MI SALVERA' DI EDWARD DMYTRYK (1952): LA SALUTE MENTALE NEGATA //www.filmtv.it/film/31968/nessuno-mi-salvera/recensioni/1050847/#rfr:user-96297
3# MARTY - VITA DI UN TIMIDO DI DILBERT MANN (1955): L'ORIGINE DELL'INCEL E DELLA FEMCEL
"Marty Piletti ha trentaquattro anni, è italoamericano, fa il macellaio e vive con la vecchia madre. Le sue sorelle e i suoi fratelli si sono sposati e se ne sono andati di casa da un bel pezzo. Grosso e timido, teme di non trovare alcuna ragazza che lo sposi e a causa di questo viene assillato dalla madre. Poi, un giorno, conosce una giovane insegnate di mome Clara, con mostra molte affinità. Può essere per l'uomo la possibile svolta che cercava"
Il recepimento del bisogno di innovarsi da parte del cinema statunitense, passa attraverso la TV. Il drammaturgo-sceneggiatore Paddy Chayefsky è tra i primi a comprendere le enormi potenzialità di tale mezzo, oramai sempre più presente nelle case degli americani. La sua scrittura si fa portavoce di uno stile naturalista, attraverso dialoghi quotidiani e situazioni intime, dove è facile immedesimarsi. I drammi concepiti dalla sua penna, ben si adattano alle limitate possibilità tecniche del piccolo schermo, costretto a lavorare con budget assai inferiori rispetto al cinema.
Il suo più grande successo televisivo, "Marty" (1953), girato dall'abile mestierante Dilbert Mann, con alle spalle un lunga gavetta come direttore di scena nel teatro e circa 100 fiction per la TV, ottenne grande consenso da parte della critica, tanto da spingere la casa di produzione Hecht-Hill-Lancaster, ad offrire al duo una proposta per una trasposizione cinematografica di tale dramma.
Nasce così "Marty - Vita di un Timido" (1955), la cui realizzazione deve essere vista più come frutto della visione dello sceneggiatore Chayefsky, che del regista Dilbert Mann. Si deve allo scrittore non solo la conferma del regista, ma anche scelte importanti come il casting. Marlon Brando e Grace Kelly, vengono scartati in quanto troppo belli per poter interpretare i due non avvenenti protagonisti Marty e Clara. Incassata l'indisponibilità di Rod Steiger (protagonista della versione televisiva), la scelta vira su Ernst Borgnine - sino ad allora autore di ruoli minori da antagonista - e Betsy Blair - moglie di Gene Kelly, in cerca di nuova fama dopo aver avuto problemi a causa del maccartismo -. Due attori poco noti e soprattutto dall'estetica non avvenente. Volti in cui risulta facile immedesimarsi da parte di qualsiasi spettatore comune, senza dover ricorrere ad un trucco pesante per "imbruttirli".
Marty. Vita di un timido (1955): Esther Minciotti, Ernest Borgnine
Marty è un uomo fatto e finito, che lavora come macellaio nel Bronx. Una persona comune come tutti, con un mestiere forse non tra i più rinomati sulla piazza, ma capace di consentirgli di vivere onestamente e aiutare la madre, nella cui casa vive.
Il suo grande problema è l'essere non sposato! Un "crimine" senz'altro imperdonabile a 34 anni, visto che all'epoca l'età media per il matrimonio negli USA era di 23 anni per un maschio.
La macchina da presa cattura i sentimenti di fastidio e frustrazione, nelle espressioni del viso di Borgnine, ogni qual volta le petulanti clienti della macelleria, gli rinfacciano la vergogna per non avere ancora una moglie.
Dilbert Mann coglie la progressione quotidiana, con lo sguardo leggero di una regia, capace di far emergere la noia dietro la routine di Marty, tramite i longtake, che ne catturano l'immobile staticità un cui è immersa. Illuminate su tutti è la sequenza ambientata nel bar in cui il protagonista, si ritrova di frequente con gli amici scapoli come lui, nell'atto di sfogliare compulsivamente il giornale mentre Angie (Joe Mantell), gli chiede come programmare il Sabato sera. Il cinema fa passi in avanti, delineando con estrema sintesi espressiva, il ciclo in cui un "celibe involontario" sembra essere eternamente bloccato.
Ci sono affinità con "I Vitelloni" di Federico Fellini (1953), nel ritrarre persone anagraficamente adulte, ma di fatto mai maturate in quanto mancanti di esperienze di vita con l'altro sesso, decisive per uno step psicologico evolutivo. Risultano senz'altro assenti gli slanci di intimismo poetico misto ad una vita vissuta come un'eterna baccanale senza fine propria dell'opera italiana, in quanto in "Marty" i personaggi hanno tutti un lavoro ed economicamente potrebbero anche rendersi indipendenti dai genitori. Il disagio esistenziale senz'altro emerge, ma risulta fermamente ancorato alla realtà, senza addentrarsi verso slanci onirico-barocchi.
La quotidianità delle scenografie luoghi all'aria aperta e la schiettezza naturale dei dialoghi, sono i punti di forza di un film, che del basso budget di 300.000 dollari, valorizza la semplicità della narrazione, senza addentrarsi in artifizi esagerati.
Marty. Vita di un timido (1955): Ernest Borgnine, Betsy Blair
Marty è il primo ritratto incel computo di tutta la storia del cinema. Non ha rinunciato a cercare una fidanzata, anche se non vuole darlo a vedere in pubblico. Nel segreto del chiuso della stanza di casa sua, telefona a una donna incontrata un mese prima in un cinema. Le ansie, le paure, le speranze, la delusione e il dolore attraversano le espressioni di un Borgnine, intimamente connesso con la sofferenza interiore di un personaggio, i cui continui rifiuti da parte delle donne, sono coltellate ripetute nei confronti di un'autostima oramai sbriciolatasi, innanzi all'avanzare della camera che ne raccoglie i brandelli. Marty non è un incel "passivo", poiché non si crogiola nella sua condizione, ma qualunque cosa faccia per uscire dalla condizione di celibe involontario, non porta ad alcun risultato tangibile. "Prima o poi nella vita di un uomo, viene il momento in cui deve affrontare certi fatti. Qualsiasi cosa piaccia alle donne io non ce l'ho", commenta con fare lucido e razionale Marty, innanzi alle insistenze della madre italo-americana Teresa Piletti (Esther Minciotti) - le cui vicende sono troppo ingombranti e meno interessanti rispetto alla narrazione principale -, che vorrebbe il figlio maritato, negando fermamente la di lui bruttezza.
Non siamo innanzi a un ritratto incel "misogino" o "antisociale". Marty è una brava persona tutto sommato e cerca di essere positivo, rassegnandosi alla sua condizione, in quanto presenta oggettive caratteristiche di scarsa attraenza; l'essere grasso (la madre lo rimpinza di cibo iper-calorico condannandolo alla sua condizione di scapolo perenne), grosso, brutto, poco simmetrico nei lineamenti del viso e con pochi capelli. Secondo il sistema della “Redpill”, Marty mancando di “Look” (non è un bell’uomo), “Money” (lavora come macellaio, ma non avendo una relazione è riluttante a rilevare l’attività del suo principale e diventare piccolo imprenditore) e “Status” (vive con la madre, essendo single), è destinato ad una vita di solitudine.
Chayefesky cattura con inusitata profondità naturalistica, le psicologia di Marty e Teresa attraverso uno scambio di dialoghi, che potrebbe benissimo aver luogo in una qualsiasi famiglia riunita a tavola.
La tecnologia si è evoluta, così come la società è andata modificandosi. Ciò che rende ancora efficace la sceneggiatura, riguarda l'emotività tirata fuori dai suoi personaggi, capaci di andare oltre gli stereotipi di genere. La macchina da presa, concretizza tramite immagini di quotidiana incisività, i tanti spunti forniti da una scrittura fresca e vivace. Chayefesky rompe l'immagine monolitica del maschio forte e sicuro di sé, facendone emergere la sensibilità nel lasciarsi andare al pianto, attraverso emozioni come la tristezza e la timidezza, associate in modo denigratorio al "femminile", in quanto significa essere "deboli".
Marty. Vita di un timido (1955): Ernest Borgnine, Betsy Blair
Marty e Clara, una volta fuoriusciti dallo "Stardust Ballroom", hanno modo di parlare e conoscersi, facendo emergere la loro personalità, dietro una facciata non avvenente. Il ritratto femminile risulta interessante per un'opera di metà anni 50'. Clara ha 28 anni, laureata e insegnante di scienze in un liceo. Ha una sua carriera e soprattutto una psicologia tutta sulla realtà in cui vive, senza dover essere succube di una visione maschile. La donna, una femcel di fatto in quanto costantemente respinta dall'altro sesso e sofferente per questa situazione, ha uno "status" lavorativo e di istruzione superiore all'uomo, eppure le dure esperienze di vita vissute da Marty - reduce di guerra, precocemente avviato al mestiere e gestore dei fratelli e sorelle più giovani in famiglia -, lo rendono interessante per Clara, capace di andare oltre la sua logorroica parlantina imbarazzata e vendere le qualità migliori. Entrambi s'incoraggiano a vicenda confidandosi reciprocamente i dubbi in merito alle scelte professionali lavorative e di vita, dandosi l'uno con l'altro sostegno. La vita coniugale tanto pretesa da coloro che criticano Marty per il suo status di scapolo, non viene ritratta come una meta obbligatoriamente felice e perfetta - basta vedere la vicenda di Tommy -; eppure Marty e Clara meritano senz'altro un'occasione per provarci, in quanto un uomo e una donna uniti hanno la possibilità di diventare una forza "invincibile" a livello emotivo.
Un ritratto onesto e sincero di un possibile legame uomo-donna, come potrebbe avvenire nella quotidianità di tutti i giorni.
Non è un caso, come coloro che hanno difficoltà nello stringere relazioni sentimentali, si identifichino nelle difficoltà del protagonista nelle varie clip del film sparse online, commentando con stupore come un'opera realizzata 70 anni orsono, risulti assai più sincera di tante successive pellicole romantico-sentimentali moderne, molto artificiose nelle dinamiche maschio-femmina. La "Nuova Hollywood" si può dire che trovi le sue lontane origini in "Marty". Un'opera nata da quella TV contro la quale ha combattuto aspramente, racchiude in sé i germi di tutto ciò che renderà innovativo il cinema americano dalla fine del decennio successivo; troupe leggera, budget bassi, volti nuovi, psicologie ancorate al quotidiano, riprese nelle location in cui sono ambientate le vicende e il finale aperto che lascia innanzi a sé infinite possibilità.
Marty. Vita di un timido (1955): Ernest Borgnine, Robert Morse
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