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La trama fenicia

Regia di Wes Anderson vedi scheda film

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La recensione su La trama fenicia

di mck
9 stelle

The Wes Anderson Scheme: On the Preservation of Beetles & Depiction of Blasphemy, o: Loin du Sayda.

 

 

 

Wes Anderson, alla sua tredicesima prova, giungente dopo lantologico col senno di poi «“The Wonderful Story of Henry Sugar” and Three More» (the Swan”, “the Rat Catcher” e “Poison), dal quale preleva orizzonti di campi di mais, prova a reinventare il cinema, o perlomeno dotarlo di un ophülsiano tassello ulteriore, e con “The Phoenician Scheme” (che, se The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun” era un po’ un collegamento tecnico-narratologico & stilistico-formale tra, considerando i live-action, The Grand Budapest Hotel e “Asteroid City”, di quest’ultimo risulta invece proprio una pseudopodica variazione in vestigiale evoluzione: ma tutti e 5 i film dialogano figurativamente, paesaggisticamente ed architettonicamente tra loro) lo fa, dai germanici studi Babelsberg di Potsdam in Brandeburgo ribadendo sé stesso al cubo, ma in minimale sottrazione, tra una messe crapulonica in catervante parata di luculliane carrellate esploranti il set verso destra, qualche zoom violento avanti e indietro, una plongée fissa sui titoli di testa post-prologo, un dolly verticale verso il basso, una frullante pluri-rotazione minipimerica puntata verso l’alto più una semi-rotazione di 180° sul proprio asse che sfocia in una body-steadycam d’azione e prosegue con una mini-ripresa con camera/macchina a mano e, infine, un piccolo accenno di contrastante carrellata verso sinistra che chiude con dedica alla parte acquisita della famiglia, partendo (e proseguendo con Welles, Lang, Kurosawa, Buñuel, Powell, Pressburger &... Korda) da – e, a parte Milena Canonero ch’è un in comune trait d’union fra i due autori, non è mai stato così scoperto, il gioco – Stanley Kubrick: i dissonanti clangori metallici (archi su corde) di Abigail Mead (la figlia scientologista, alt-right & qanon Vivian) per “Full Metal Jacket” nel prologo “matteiano” e una scena in elicottero verso la fine, la lotta a due tra il libano-armeno-mitteleuropeo Anatole "Zsa-Zsa" Korda e il fratellastro Nubar che irrompe a sconvolgere le geometrie “proprio come” in “Barry Lyndon” la zuffa tra Redmond e Bullingdon, e poi, ma qui siamo in zona “Room 237”, il plastico/modellino/diorama della diga della centrale idroelettrica che esplode diselevandoli, ma senza troppo sangue, i sogni brutalisti della magna opera in farsi.

 

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Regìa: Wes Anderson.
Soggetto: Wes Anderson & Roman Coppola.
Sceneggiatura: Wes Anderson.
Fotografia (1.48:1): Bruno Delbonnel.
Montaggio: Barney Pilling.
Musiche: Alexandre Desplat.
Cast: Benicio del Toro, Mia Threapleton, Michael Cera, Riz Ahmed, Tom Hanks, Bryan Cranston, Mathieu Amalric, Richard Ayoade, Jeffrey Wright, Scarlett Johansson, Benedict Cumberbatch, Rupert Friend, Hope Davis, Bill Murray, Charlotte Gainsbourg, Willem Dafoe, F. Murray Abraham, Stephen Park, Alex Jennings, Jason Watkins.
Genere: avant-pop, massimalismo postmoderno, (sur/iper)realismo isterico. 

 


“Le energie imprenditoriali di mio padre si rivelano fortemente corroborate dall’austerità della nostra indigenza.” 

 

 

The Wes Anderson Scheme: On the Preservation of Beetles & Depiction of Blasphemy, o: Loin du Sayda.

 

* * * * ¼   

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