Max Ophuls inizia l’attività cinematografica nella Germania degli anni Trenta dopo un decennio di lavori teatrali. Nonostante il successo di Amanti folli, Ophuls è costretto all’esilio dalla persecuzione antisemita. Dopo una prima tappa in Italia, Ophuls si stabilisce in Francia dove dirige una decina di lungometraggi ma l’occupazione nazista lo costringe a una nuova fuga, questa volta negli Stati Uniti. L’impatto con la fabbrica dei sogni non è dei più felici, Opuls fatica a trovare ingaggi, Hughes lo caccia dal set della Vendicatrice, e solo per intercessione di Siodmak gli viene affidato Re in esilio. Il continuo girovagare e l’esilio in una terra che non sente sua, sviluppano in Ophuls una visione profondamente pessimista dell’uomo, solo apparentemente mascherata dallo sfarzo della messa in scena e dalla leggerezza dei temi trattati. Dietro il melodramma si cela una profonda tristezza che si fonda sulla nostalgia per il passato. Temi che permarranno negli anni Cinquanta, al suo ritorno in Francia, una terra che lo ama e che gli tributa i giusti riconoscimenti.
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