Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Palermo, 1937. Tommaso Scalìa, ex dipendente della confederazione sindacale fascista, viene processato per l’assassinio di tre persone, tra cui la moglie. Un processo apparentemente scontato: l’imputato è reo confesso del triplice omicidio e la fucilazione sembra la conclusione inevitabile.
Al presidente della Corte e alla giuria popolare si affianca il giudice Vito Di Francesco. “Vituzzu”, come lo chiamano affettuosamente i suoi cari, è un uomo mite e semplice, ma al contempo rigoroso e zelante. La sua ostinazione nel cercare i dettagli e i suoi interrogatori incalzanti suscitano malcontento tra le alte sfere del regime fascista e nell’opinione pubblica.
Il dibattimento sembra condurre inesorabilmente verso la pena estrema. Di Francesco sta per cedere, ma uno dei giudici popolari lo sostiene: con la complicità di un libro di Dostoevskij, riescono a convincere il resto della giuria a commutare la condanna in ergastolo. Tuttavia, l’anno successivo, in appello, arriverà la pena capitale. La carriera del giudice, però, ne esce compromessa.
Questa storia, realmente accaduta e ambientata in un periodo cupo, è narrata da Leonardo Sciascia nel romanzo “Porte aperte”. Da quest’opera Gianni Amelio trae ispirazione per il suo film, incentrando la trama sul coraggio di due uomini che si oppongono alla pena di morte e a una sentenza sbrigativa in camera di consiglio. Non c’è spettacolarizzazione né eccessivo coinvolgimento emotivo, ma grazie alla scelta azzeccata dei protagonisti e ai dialoghi profondi, il regista realizza una pellicola degna di attenzione e riflessione.
“A casa mia la porta la tengo chiusa,” dice Di Francesco a un procuratore che aveva osservato: “Solo punendo il crimine con una sentenza esemplare, la gente perbene può vivere tranquilla lasciando la porta aperta.” Insomma, un giudice scomodo, come tutti coloro che non si piegano ai voleri del potere fascista.
Dagli spaghetti western di Sergio Leone a Porte aperte (passando per capolavori come Io ho paura, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e Il caso Mattei), Gian Maria Volonté si conferma uno degli attori più grandi e rappresentativi del cinema italiano. Il film riceve quattro David di Donatello, uno dei quali va proprio a Volonté come migliore attore protagonista. Dispiace per Ennio Fantastichini che, nonostante un’ottima interpretazione, non vince il David, ma si aggiudica comunque un Nastro d’Argento
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta