Regia di Francesco Sossai vedi scheda film
CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: LE CITTA’ DI PIANURA
Ma cosa sta succedendo nelle sale italiane? C’è un piccolo film, un’opera seconda nostrana che sta riempendo i cinema nonostante non ci siano tra i protagonisti Leonardo Di Caprio, Sean Penn e Benicio Del Toro.
Sto parlando di Le città di Pianura, il secondo film di Francesco Sossai che dopo l’interessante esordio con Altri Cannibali ritorna col suo stile che strizza l’occhio a Aki Kaurismaki ma che al tempo stesso vuole attualizzare i concetti di commedia all’italiana amara e pungente dei Risi e Monicelli.
Cosa sono Le Città di Pianura? Sono quelle che non troverete mai negli affreschi della scuola del Veronese perché quelli rappresentano quel Veneto caratterizzato dalle Dolomiti e dalla Laguna di Venezia. E allora ci pensa Francesco Sossai a raccontarcele attraverso questo road movie che vede protagonisti due fantastici perdenti alla ricerca della definizione del senso della vita. Un concetto che loro sanno benissimo ma che momentaneamente non ricordano e per questo motivo vagano dentro una notte che sembra non finire mai e un giorno che nasconde esperienze e verità alla ricerca di quell’ultimo bicchiere che sia il viatico di un altro bicchiere fino alla fine del mondo.
I due cialtroni che vediamo fin da subito in hangover a dormire davanti a un semaforo in attesa che scatti un verde infinito sono Doriano e CarloBianchi tutto attaccato per gli amici intimi CharlieWhite tutto attaccato (Piepaolo Capovilla e Sergio Romano da David di Donatello. Rigorosamente in Ex Equo)
Sono due uomini che hanno perso tutto dopo la crisi del 2008: hanno perso il lavoro, la moglie, il senso della vita. Il famoso Nord-Est nuovo motore dell’economia italiana è un lontano ricordo ed è rappresentato da un megadirettore galattico che scende col suo elicottero a consegnare un rolex al neopensionato Primo Sossai (un’autocitazione finissima del regista). Primo di nome ma ultimo a raggiungere una pensione che altri non vedranno mai. Non la vedranno i nostri due guitti che sono in attesa del loro amico e capobanda Genio, scappato in Argentina da una condanna per attività illecite e che ritorna in Veneto per disseppellire il bottino nascosto da spartire coi compari.
E forse non la vedrà Giulio (un Filippo Scotti ormai musa dei grandi autori dopo l’esordio con Sorrentino e la conferma con Avati), giovane studente in architettura che si imbatterà in questi due Gatto e Volpe imbucatasi dentro la festa di laurea di una sua amica (di cui è non tanto segretamente innamorato ma bloccato del suo senso etico).
L’incontro di queste tre anime alla ricerca di loro stessi trasforma Le Città di Pianura in un intenso omaggio al cinema che fu, a quel Sorpasso che criticava l’Italia del Boom Economico. A quegli eroi proletari che combattono una battaglia contro i mulini a vento della vita, un film che sarebbe piaciuto tantissimo a Carlo Mazzacurati.
Un film ad alto tasso alcolico che viene magnificamente dimostrato attraverso la Teoria dell’Utilità Marginale. Un trattato economico che ci spiega fino a quanto ci può saziare un tagliere di salumi ma che non è applicabile con l’alcool perché il famoso “Ultimo Goccio” o “Bicchiere della Staffa” è un appagamento dell’anima. Uno stato così interiore e personale che non potrà mai essere soddisfatto.
Un film fortemente maschile ma non maschilista, dove le donne sono un qualcosa di leggendario che appartengono al passato come la Mary, la migliore cuoca di Polenta e Lumache anche lei costretta a chiudere per la crisi. Mogli che si sono rifatte una vita migliore diventando proprietarie di villette a schiera. La Stefy, una prostituta che lenisce i tuoi dolori che viene rappresentata solo dalla mano che ti fa entrare in casa. E alla fine la migliore donna del mondo rimane sempre la mamma che ti accoglie a qualsiasi ora e in qualsiasi condizione consapevole che sei troppo vecchio per crescere.
E alla fine di quelle intense 24 ore i 3 eroi per caso si contamineranno e troveranno la forza per affrontare un giorno o trovare finalmente il senso della vita. Che sia rappresentato da una ragazza che ti aspetta o da un gelato tanto desiderato che farà la stessa fine dell’invenzione di Giacomo Storti in Così è la vita.
Voto 7,5
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