Regia di Ken Loach vedi scheda film
Billy Casper (Bradley, miracoloso) è un quindicenne di una poverissima provincia inglese, bullizzato dai compagni di scuola, turlupinato dagli insegnanti e vessato dal fratellastro maggiore. Il suo unico conforto è un falco (chiamato Kes) che ha allevato e poi addestrato con cura e pazienza. Finale tragico.
Al suo secondo lungometraggio, Loach firma un film che - a distanza di anni - appare ancora modernissimo, di un verismo smagliante e con una direzione degli attori (non professionisti) che già era ed è rimasta una delle sue cifre stilistiche più pronunciate. È un'opera che si immerge nella vita del proletariato britannico mettendo in risalto l'autoritarismo della scuola (sono almeno due le scene da antologia: la partita di calcio con l'istruttore che si crede Bobby Charlton e vuole vincere a tutti i costi, e il racconto di Casper in aula, unico momento in cui suscita rispetto e curiosità) e il disorientamento esistenziale di un'intera generazione. Ma dietro il tono realistico c'è un'intensità malinconica che sfiora la poesia, un respiro narrativo disteso che non cerca la provocazione programmatica bensì la verità dei gesti, della luce naturale, dei silenzi. Loach costruisce un piccolo trattato visivo sull'assenza di occasioni e sulla brutalità del quotidiano, evitando qualsiasi sentimentalismo: il rapporto tra Billy e Kes non è un surrogato d'amore ma una forma di autodifesa, un modo per ritrovare, per un attimo, dignità e linguaggio. Kes resta così uno dei rari film capaci di rendere eroico il gesto minimo di un ragazzo senza futuro, un poema proletario in cui la libertà - come il falco - è sempre pronta a volare via.
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