Regia di JT Mollner vedi scheda film
Strange Darling promette un viaggio oscuro e disturbante, ma si perde in uno stile che pesa più del contenuto. Willa Fitzgerald regge il tutto, ma la sceneggiatura non regala mai la profondità o la sorpresa che ci si aspetterebbe da un thriller psicologico che strizza l’occhio al cinema pulp. Bello da vedere, ma manca di sostanza.
Strange Darling (2023): locandina
Certe pellicole iniziano con una promessa: ti invitano a un viaggio disturbante, ambiguo, forse addirittura “tratto da una storia vera”. Strange Darling è una di queste. E quando entra in scena con la sua pellicola 35mm, un’estetica curata e un montaggio non lineare alla Pulp Fiction, l’istinto è quello di lasciarsi trasportare. Ma poi, quando il fumo si dirada, resta la sensazione che qualcosa manchi.
Una giovane donna, chiamata “The Lady” (Willa Fitzgerald), e un uomo noto come “The Demon” (Kyle Gallner), si incontrano per caso in un contesto apparentemente normale, ma qualcosa nel loro scambio non torna. C’è tensione nell’aria, silenzi che pesano, sguardi che raccontano storie non dette. Da quel momento parte un confronto psicologico e fisico in cui il ruolo di vittima e carnefice non è mai del tutto chiaro. Il film si muove tra flashback e presente, giocando con la percezione dello spettatore e sfumando i confini tra innocenza e follia.
Strange Darling (2023): Willa Fitzgerald, Kyle Gallner
J.T. Mollner dirige con mestiere e con dichiarata voglia di stupire. Chi conosce un minimo di cinema noterà subito l’ombra lunga di Tarantino: i capitoli scomposti, i dialoghi sospesi nel nulla, le inquadrature da auto, gli sguardi al limite del pulp. Il problema è che lo stile, per quanto interessante, rischia di diventare una maschera. Perché dietro quella struttura narrativa zigzagante, la storia è più semplice e prevedibile di quanto vorrebbe farti credere. E forse il montaggio furbo serve proprio a quello: a nascondere le crepe, più che a costruire tensione.
Probabilmente, questa scelta di una narrazione non lineare ha la funzione principale di mascherare evidenti lacune nella sceneggiatura. In una versione più tradizionale e lineare, il film rischierebbe davvero di apparire per quello che è: una sciocchezza, priva di spessore e senza reale impatto.
La fotografia, curata da Giovanni Ribisi, gioca un ruolo fondamentale nel dare al film la sua atmosfera unica. Girato interamente in pellicola 35mm, il lavoro di Ribisi si distingue per l’uso deciso di colori saturi e contrasti forti, con un’estetica vintage che richiama il cinema pulp e le atmosfere anni ’70. Il risultato è un ambiente visivo che amplifica la tensione e l’ambiguità psicologica dei personaggi, immergendo lo spettatore in un clima inquietante e surreale.
A salvare l’operazione c’è un’interpretazione magnetica: Willa Fitzgerald è senza dubbio l’elemento più solido del film. Fredda, lucida, disturbante, capace di cambiare registro in una frazione di secondo. È lei a mantenere viva l’attenzione, anche quando la sceneggiatura sembra girare a vuoto. Kyle Gallner funziona come controparte, ma è evidente che la macchina da presa è tutta per lei. Peccato che il suo personaggio resti troppo abbozzato. Si intuisce un passato, si suggerisce un trauma, ma tutto resta vago, indefinito. E in un thriller psicologico che punta sulla destabilizzazione, l’assenza di un vero spessore emotivo pesa.
Le musiche sono scelte con grande gusto. Sanno immergere lo spettatore nella follia e nella tensione meglio di certi dialoghi. In alcuni momenti è proprio la colonna sonora a rendere credibile la spirale emotiva in cui ci si vorrebbe far cadere. E quando audio e immagine vanno a braccetto, Strange Darling mostra ciò che avrebbe potuto essere.
Il vero nodo è che il film vuole giocare con lo spettatore, ingannarlo, spiazzarlo. Ma per riuscirci serve una sceneggiatura solida come l’acciaio. Qui invece ci si affida troppo allo stile, troppo al “non detto”, senza costruire davvero i personaggi e le loro motivazioni. E quindi la sorpresa non arriva. O peggio: arriva prevedibile.
Strange Darling è un thriller psicologico che strizza l’occhio al cinema pulp. Un film che si guarda, si apprezza a tratti, ma non colpisce mai davvero. Bello da vedere, ben recitato, ma narrativamente inconsistente. Un’idea interessante che resta a metà strada, vittima di ambizioni più grandi della sua sostanza.
In definitiva, resta la sensazione di un’occasione sprecata: un thriller psicologico pulp che prometteva di più ma si accontenta di restare un esercizio di stile senza riuscire a coinvolgere appieno chi guarda. Un film che, più che sorprendere, lascia il gusto amaro di un potenziale mai pienamente realizzato.
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