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Libri a(ni)mati / 35: “Mamma è Matta e Papà è Ubriaco - Uno Studio sul Caso” di Fredrik Sjöberg (2018), ovvero: “Non so niente. Non si può mai sapere.”
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Libri a(ni)mati / 35: “Mamma è Matta e Papà è Ubriaco - Uno Studio sul Caso” di Fredrik Sjöberg (2018), ovvero: “Non so niente. Non si può mai sapere.”

Un'accipitridica elica in picchiata: una caduta libera nel depositarsi del tempo.

 

Quasi tutto è dimenticato, svanito. Avvicinarsi è impossibile. E il poco che resta potrebbe portare fuori strada. Come se qualcuno provasse a ricostruire la mia vita introducendosi in una cantina piena di libri scartati, cornici distrutte e valigie vuote.

Fredrik Sjöberg - “Mamma è Matta, Papà è Ubriaco” - 2018 [ * * * ¾ ]
Edizione italiana: IperBorea (collana Narrativa, n. 318, brossura filo refe) - 214 pagg., € 16.50 - traduzione di Andrea Berardini.

L’ultimo romanzo-saggio (sostantivo+aggettivo) di Fredrik Sberg è la storia del pittore danese (più che "dimenticato": quasi sconosciuto) Anton Dich (padre adottivo di Lillan), e con essa quelle di Hanna e Lillan (fra loro cugine), e con esse quella di Eva Adler (moglie di Ivar e di Anton, e madre di Lillan), e con essa quella di Ivar Arosenius (padre naturale di Lillan) e dell'attore Isidor Gesang in arte John Gottowt (padre di Hanna). Vi compaiono anche la Scandinavia, la Costa Azzurra, Bordighera, una miniera di sale polacca, Amedeo Modigliani e qualche curiosa specie animale. Oltre a contenere, come sempre, una parte di ritrattistica autobiografia.

Cliccare sulle immagini per ingrandirle.

["Hanna e Lillan" (part.), 1921]

["Saint-Pancrace", 1920]

["Il Mio Atelier", 1921]


Opere di Fredrik Sjöberg tradotte in italiano (e relative playlist che ho dedicato loro), tutte pubblicate dai tipi di IperBorea:
- “FlugFällan”, 2004 (“l'Arte di Collezionare Mosche” [“Sfuggire alla Trappola”], 2015) - * * * *
- “FlyktKonsten”, 2006 (“l'Arte della Fuga”, 2017) - * * * *
- “RussinKungen”, 2009 (“il Re dell'Uvetta”, 2016) - * * * *
- “Varför Håller Man På?”, 2012 (“Perché Ci Ostiniamo”, 2018) - * * * ¾
- “Mamma är Galen och Pappa är Full”, 2018 (“Mamma è Matta, Papà è Ubriaco”, 2020) - * * * ¾


Sì, la mia testimone è Lillan, e lei parla per bocca di sua figlia, che è mia amica, e io non sono scemo, quindi comprendo benissimo che è tutto un po’ vago, in particolare la storia di Anton. Io non lo conosco. D’altro canto nessuno lo conosce, quindi mi consolo dicendomi che almeno potrò salvare qualche frammento di ciò che stava per essere spazzato via dal vento e svanire per sempre come fumo.
Perché? Una domanda complessa.
I meccanismi del disfacimento mi incuriosiscono, mi spaventano e mi attraggono, l’oblio in sé e le tenebre del dolore che, malgrado tutto, possiamo rischiarare cantando e dipingendo e danzando e sorridendo. L’anestesia creativa, in attesa del buio. Quindi è ovvio che mi interessi anche l’ebbrezza. Una luce più fredda, ma pur sempre una luce, e anche se in fin dei conti quel che so di Anton Dich non è molto - di più è impossibile scoprire -, riesco a intuire abbastanza, e lascio fermentare quel poco che è emerso nel corso del mio lungo viaggio.

Bonus Track. Tralasciando il fatto se sia più o meno legale copiaincollare un'intera pagina a pagament... ah-ah, cof-cof... di repubblica.it, ecco perché mi piace leggere Sjöberg, qualunque minchiata scriva: https://urbanpost.it/coronavirus-uno-scrittore-spiega-perche-la-svezia-ha-scelto-di-lasciare-tutto-aperto/

Playlist film

Nosferatu, il vampiro

  • Horror
  • Germania
  • durata 80'

Titolo originale Nosferatu, eine Symphonie des Grauens

Regia di Friedrich W. Murnau

Con Max Schreck, Gustav von Vangenheim, Greta Schroeder

Nosferatu, il vampiro

 

...il padre di Hanna, un ebreo un po’ più eccentrico della media che veniva da Leopoli, in Ucraina, città che all’epoca si chiamava Lemberg e si trovava in Galizia, che a sua volta apparteneva all’Impero Austro-Ungarico. Un regista e attore di nome Isidor Gesang, che però assunse il nome d’arte di John Gottowt e che, a quanto pare, gode tuttora di una certa popolarità grazie alla sua partecipazione, nel ruolo del professor Bulwer, in un film muto molto apprezzato dai cinefili: “Nosferatu”, del 1922.

[…] nel 1942 era sparito senza lasciar traccia durante i rastrellamenti nazisti nei pressi di una leggendaria miniera di sale nella Polonia meridionale.

 

Ecco, uno legge il primo di questi due paragrafi, e pensa: Sjöberg è un po’ un mezzo coglione, perché chi è che usa la parola cinefilo, al di fuori di alcuni i non-cinefili, ovvero le persone comuni, normali, banali, ed i cinefili minchioni? E invece non è proprio così, fidatevi. Cioè, è vero che la parola “cinefilo” la utilizzano solo alcuni non-cinefili e i cinefili coglioni, ma non è vero che Sjöberg sia, per questo, un pirla. (Lo è, in parte, per altre ragioni: vedasi le trascrizioni in calce ai film n.14, 15 e 16 di questa playlist che, se pur trattano di “Nosferatu”, per l’appunto, in realtà sono “Citizen Kane”, “Fanny & Alexander” e “Cave of Forgotten Dreams”. Ma in fondo, è solo un tizio che colleziona mosche e ha vinto un Ig-Nobel.)    

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Il nastro bianco

  • Drammatico
  • Austria
  • durata 145'

Titolo originale Das weiße Band

Regia di Michael Haneke

Con Susanne Lothar, Ulrich Tukur, Burghart Klaußner, Josef Bierbichler, Marisa Growaldt

Il nastro bianco

In streaming su Apple TV

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I quattro anni di guerra furono lunghi per chiunque, ma chissà quanto devono esserlo stati per una ragazzina tra gli otto e i dodici anni che aveva nostalgia di sua sorella e di casa.

Da anziana, Hanna ripeteva spesso che i figli non bisogna mai abbandonarli. Mai. Perché anche se lì per lì stringono i denti, il male può tornare, magari dopo molto tempo. In ogni modo, è molto probabile che dopo la guerra Hanna abbia dimenticato in fretta quella nostalgia, visto che arrivarono giorni felici. Aveva dodici anni, era di nuovo a casa e nel palazzo in cui abitavano si fece delle nuove amiche: due ragazzine che amavano lo sport e la ginnastica e che, come lei, avevano la mamma svedese e il papà ebreo dell’Europa centrale. 

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

The Tree of Life

  • Drammatico
  • USA
  • durata 138'

Titolo originale The Tree of Life

Regia di Terrence Malick

Con Brad Pitt, Sean Penn, Jessica Chastain, Tye Sheridan, Fiona Shaw, Pell James

The Tree of Life

In streaming su Rai Play

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Ivar Arosenius spirò nella sua camera da letto, a trent’anni, la notte tra il 1° e il 2 gennaio 1909. Un vaso sanguigno gli si ruppe in gola, soffocandolo. Erano soli in casa. E siccome non avevano il telefono, Eva corse forsennatamente a piedi nudi nella neve, al buio, a chiamare il vicino, qualche centinaio di metri più in là. Quando tornò con lui, Ivar era immobile a terra, morto, e accanto a lui c’era Lillan, sbigottita e spaventata.

Non ricordava nulla di lui. Rispondeva sempre così quando glielo chiedevano, e furono in molto a chiederglielo nel corso dei suoi novantotto anni di vita. Era sicuramente vero. I bambini piccoli dimenticano, e le amare medicine dei freudiani vanno assunte con una certa cautela. Per di più, i pochi frammenti di ricordi reali che le restavano erano corrotti dalle immagini, dai racconti e, sì, anche dalle domande.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Il fascino discreto della borghesia

  • Grottesco
  • Francia
  • durata 97'

Titolo originale Le charme discret de la bourgeoisie

Regia di Luis Buñuel

Con Jean-Pierre Cassel, Fernando Rey, Delphine Seyrig, Bulle Ogier, Stéphane Audran

Il fascino discreto della borghesia

 

...i piccoloborghesi rimasero per Ivar il principale oggetto d’odio. L’autoproclamato bohémien ha costantemente bisogno di qualcuno da biasimare, o almeno di qualcuno che possa fare da metro di paragone per la sua diversità. Una maggioranza, naturalmente, dato che il bohémien appartiene a una minoranza esclusiva: qualunque società composta soltanto di vagabondi e poeti collasserebbe nel giro di un giorno. Così, per chiunque si muovesse ai margini del sistema, i borghesi, come il maltempo, erano diventati oggetto di rimostranza di ogni bohémien.

Come osserva Adam Zagajewski, si tratta di calunnie che il piccoloborghese riceve da più di due secoli. Coloro che preferiscono vivere da bohémien, liberi, fuori da tutto, hanno sempre accusato il borghese di avarizia, egoismo, grettezza d’animo, assenza d’eroismo, mancanza d’entusiasmo e tanto altro ancora; tutti epiteti azzeccati e di solito veritieri. Ma c’è un ma, scrive Zagajewski. Gli attacchi non riguardano il borghese, ma l’essere umano in generale.

«“Le bourgeois” è un sinonimo azzeccato di “essere umano”. Autore e lettore sono entrambi soddisfatti: nessuno si riconosce in quel mostro terrificante, che a breve si sfilerà gli occhiali, poserà il libro e, di ottimo umore, andrà a farsi una breve e salutare passeggiata.»

Comunque sia, Ivar Arosenius è uno dei protagonisti della storia di Anton Dich, e non solo perché entrambi hanno sposato la stessa bella e soave ragazza borghese e da lei hanno avuto dei figli, ma perché per molti aspetti Ivar è l’opposto di Anton e può dunque fare da costante in un’equazione complessa. Era dotato davvero di un talento raro, uno dei migliori, e non solo come pittore, come ben sa qualunque svedese abbia imparato a memoria i versi di Kattresan. Particolarmente significativo, a questo proposito, è uno dei frammenti letterari che ha scribacchiato su un foglio poco prima della morte. Almeno secondo me. Una sintesi che per certi versi si ricollega a un concetto formulato molto più avanti da uno degli amici parigini di Anton, Blaise Cendrars*.

«C’era una volta un gomitolo, che rotolò e rotolò diventando sempre più piccolo, e alla fine era così piccolo da non farcela più. Ma quando si voltò a guardare la strada alle sue spalle vi vide un lungo filo. “Sono io”, disse il gomitolo.

C’era una volta una palla di neve, che rotolò e rotolò diventando sempre più grande, e alla fine era così grande da non farcela più. Ma quando si voltò, vide una traccia spoglia nella neve. “Oh, cazzo”, disse la palla di neve.»

 

* «In realtà gli artisti vivono discosto, ai margini della vita e dell’umanità, e per questo sono o molto grandi o molto piccoli.»  

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Vitello

  • Animazione
  • Danimarca
  • durata 72'

Titolo originale Vitello

Regia di Dorte Bengtson

Vitello

 

C’è una cartolina di Robert Storm Petersen con un’illustrazione curiosa, spedita nell’aprile 1911: lo stesso Storm P noto anche in Svezia per i suoi gioviali vagabondi sulle lattine di Tuborg che tutti noi ci scolavamo allegramente negli anni Settanta, prima che i guastafeste di allora proibissero la birra troppo alcolica.

 

*Robert Storm Petersen (1882-1949), pittore e illustratore danese, influenzato da Munch e Toulouse-Lautrec, è ricordato soprattutto per le sue illustrazioni di carattere umoristico, spesso raffiguranti vagabondi o motivi tratti dal mondo circense. Fu anche scrittore umorista, attore e regista, cui si deve tra l’altro il primo cartone animato della storia del cinema danese. [NdT]

 

(Siccome in database non sono ancora presenti i cortometraggi animati di Petersen inserisco uno dei più recenti lungometraggi di animazione danesi. NdA.)

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

The Danish Girl

  • Biografico
  • USA
  • durata 122'

Titolo originale The Danish Girl

Regia di Tom Hooper

Con Eddie Redmayne, Alicia Vikander, Matthias Schoenaerts, Amber Heard, Ben Whishaw

The Danish Girl

IN TV Sky Cinema Drama

canale 308 vedi tutti

 

Se oggi Gerda Wegener, la donna che frequentava il Café de Cluny mentre Anton si prendeva i pidocchi e si sbronzava di assenzio, è conosciuta in tutto il mondo, non è perché fosse un’artista migliore di lui. C’è qualcos’altro. È quasi sempre così.

Gerda Wegener (1886-1940) frequentò l’Accademia nello stesso periodo di Anton e oggi è nota grazie al blockbuster hollywoodiano “The Danish Girl”, dove il suo destino è interpretato da Alicia Vikander. Era una brava pittrice, nulla da dire, ma si fece la fama di disegnatrice pornografica e più avanti finì sulla bocca di tutti perché suo marito, Einar Wegener, anche lui ex allievo dell’Accademia di Copenaghen, fece coming out dichiarandosi donna e fu la prima persona al mondo a sottoporsi (morendone) a un intervento di riassegnazione chirurgica del sesso.

Ebbene, Eva e Anton si sposarono senza troppo clamore il Capodanno del 1912 e, nell’autunno dello stesso anno, ebbero un figlio, Ivan. All’epoca abitavano a Copenaghen. So che ci restarono per qualche anno, più o meno, perché Lillan molto più tardi raccontò di aver cominciato ad andare a scuola lì. Quella, diceva spesso, era l’unica scuola in cui si fosse trovata bene. Ricordava che le compagne di classe ammiravano i suoi lunghi capelli color grano. Eva piangeva ancora la morte di Ivar. Non so niente.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Siberia

  • Drammatico
  • Italia, Germania, Messico
  • durata 92'

Titolo originale Siberia

Regia di Abel Ferrara

Con Willem Dafoe, Dounia Sichov, Simon McBurney, Cristina Chiriac, Valentina Rozumenko

Siberia

In streaming su Rai Play

vedi tutti

 

...quella stessa estate, tra gli scogli lungo Skanvik, mi imbattei in ben quattro bottiglie di plastica bianca con sopra delle scritte cirillico. Flaconi di shampoo sovietici, pensai, e siccome eravamo attorno al 1970, quando la guerra fredda era al culmine della sua parabola, c’era da domandarsi cosa ci facessero laggiù, dall’altra parte del mare, oltre il faro di Kungsgrundet che assomigliava a una molletta giallo bruciato sulla sottile linea dell’orizzonte.
Qualcosa in effetti avevo sentito della capacità produttiva di quella superpotenza industriale, e grazie alle foto di Leonid Breznev pubblicate dai giornali, con la sua fronte bassa e le sue sopracciglia a spazzola da scarpe, quella figura fantastica non era poi così lontana, e nemmeno l’idea che i signori del Politburo, in ottemperanza ai piani quinquennali, avessero fatto produrre qualche chilometro cubo di shampoo scadente: era più o meno questo che facevano i russi, quando facevano qualcosa, costruivano bombe all’idrogeno e si lavavano i capelli.
Sì, la spiaggia era un’avventura, e siccome nulla svanisce davvero neanche quando lo si dimentica, molti anni dopo finii per interessarmi a quell’effimera branca della scienza che si occupava del legno di deriva. In realtà l’oggetto d’indagine erano le correnti marine, ma già negli anni Sessanta dell’Ottocento alcuni eroi del mare dell’epoca avanzarono l’ipotesi che tutti quei rami slavati che insozzavano le coste groenlandesi potessero dare il loro contributo alla scienza.
Da dove arrivava quel legno?
Gli scienziati andarono sul posto a classificare i rami – pino, abete, larice – e ben presto cominciarono a supporre che l’origine fosse l’entroterra siberiano, le vaste foreste di quel territorio privo di strade. Ma com’era mai possibile che gli alberi finissero in mare? La cosa rimase un mistero per molti anni. Le prove che consentirono di risolvere l’enigma dimostrano come la fantasia sia la qualità essenziale dello studioso brillante. Nel saggio “Sul Legno di Deriva della Groenlandia Meridionale”, pubblicato nel 1881 dalla Reale Accademia per le Scienze di Stoccolma, la storia è narrata per sommi capi con la classica asciuttezza degli accademici miopi.
«Il legno di deriva ha origine da alberi cresciuti sulle sponde dei fiumi. Anche la conformazione interna del legno di deriva va a sostegno di questa ipotesi. Si è detto in precedenza che gli anelli di accrescimento mostrano spesso un modello di crescita eccentrico, il che induce a credere che gli alberi d’origine siano cresciuti in posizione più o meno inclinata, precisamente quella in cui crescono gli alberi sulle sponde dei fiumi. I luoghi d’origine del legno di deriva proveniente dalla Groenlandia meridionale sono dunque le sponde dei grandi fiumi siberiani.»
Gli alberi che crescono nelle foreste, circondati da altri alberi, producono anelli di accrescimento concentrici. Fino alla cima, nulla di strano. All’interno sono quasi tutti fatti così. Solo l’eccentrico comincia fin da subito a inclinarsi, e infine, sotto il proprio peso, cade.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Wisting

  • Serie TV
  • Norvegia
  • 4 stagioni 26 episodi

Titolo originale Wisting

Con Katrine Valen Zeiner, Trygve Allister Diesen, Sven Nordin, Thea Green Lundberg

Tag Poliziesco, Duo, Crimini, Piccola città, Norvegia, Anni duemiladieci

Wisting

 

Il romanzo “Un Fuggitivo Incrocia le Sue Tracce” non è tra i migliori di Aksel Sandemose. Diciamo pure che è piuttosto malriuscito e diseguale, uno di quei libri di cui ci si stufa dopo due terzi. Se resterà il suo più conosciuto, sarà solo grazie al fatto che lì si trova l’enunciazione della legge più antica del mondo.
La legge di Jante, che prende il nome del luogo di origine di Sandemose, una cittadina dello Jylland dimenticata da Dio, è sempre esistita: è la legge che ha spinto l’essere umano a conquistare tutte le zone abitabili della Terra. I pettegolezzi e l’oppressione che esistono in tutti i paesini e in tutte le trappole sociali hanno creato la civiltà, è vero, ma gli apparati di controllo hanno dato origine anche a un desiderio di fuga altrettanto forte. Furono i disertori, non i colonnelli, a guidare la conquista.
Nessuno mi dà ordini: così deve aver pensato già un qualche uomo delle caverne, dopodiché, non avendo nulla da perdere, si mise in cammino, o salì a bordo di una zattera primitiva e pagaiò dritto verso l’orizzonte. Non me ne importa niente: questo potrebbe essere il suo motto. Quest’uomo – perché di solito si tratta di un uomo – si aggira come un’anima in pena in tutta la storia dell’arte.
Il prezzo che deve pagare è alto, lui o lei che sia.
Sì, perché al riparo di una civiltà sempre più solida, anche le donne alla fine poterono fuggire lontano, nello spazio e nel tempo; tra gli emigranti svedesi che si trasferirono in America c’era una vasta componente di giovani nubili in fuga da Jante.

 

Recensione.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Orwell 1984

  • Fantascienza
  • Gran Bretagna
  • durata 115'

Titolo originale 1984

Regia di Michael Radford

Con John Hurt, Richard Burton, Suzanna Hamilton, Cyril Cusack

Orwell 1984

In streaming su Amazon Prime Video

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Oggi il filatelista viene generalmente considerato una figura ridicola. Un buffone. Già a pagina due de “Il Mondo Nuovo”, Aldous Huxley scrive: “Non i filosofi, ma i taglialegna e i collezionisti di francobolli compongono l’ossatura della società.” E non lo diceva in senso positivo.

[Nel corso del volume ci sarà spazio anche per Bertolt Brecht, D.H.Lawrence, etc… Qui ho utilizzato Orwell al posto di Huxley, ma in caso sarebbe andato ugualmente bene anche Zamjatin. NdA.]

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

La fonte meravigliosa

  • Drammatico
  • USA
  • durata 108'

Titolo originale The Fountainhead

Regia di King Vidor

Con Gary Cooper, Patricia Neal, Raymond Massey, Kent Smith, Robert Douglas, Henry Hull

La fonte meravigliosa

 

Si è ampiamente dibattuto sulla diagnosi che sarebbe stata affibbiata alla filosofa e scrittrice russo-americana Ayn Rand se fosse stata bambina ai nostri tempi: sindrome di Asperger è l’ipotesi più accreditata, o comunque una qualche forma di autismo, mentre i suoi sostenitori parrebbero mossi più spesso dall’edonismo e da una comune fame di profitto di stampo libertario.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Midsommar - Il villaggio dei dannati

  • Horror
  • USA
  • durata 140'

Titolo originale Midsommar

Regia di Ari Aster

Con Florence Pugh, Jack Reynor, Will Poulter, William Jackson Harper, Vilhelm Blomgren

Midsommar - Il villaggio dei dannati

In streaming su Netflix

vedi tutti

 

“Ho dipinto un inno a me stesso”, scrisse all’epoca Ivar a un amico, “un autoritratto delicato, con la corona in testa e un paesaggio sullo sfondo, e un raro fiore simile a un’orchidea e delle efemere che scopano.”

 

Recensione.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

La città dei ragazzi

  • Drammatico
  • USA
  • durata 93'

Titolo originale Boys Town

Regia di Norman Taurog

Con Spencer Tracy, Mickey Rooney, Henry Hull, Gene Reynolds

La città dei ragazzi

In streaming su Amazon Video

vedi tutti

 

Non finiscono mai, i miei fili. Continuo a intrecciarli, intessendo una fune, una specie di cavo di sicurezza. Ma le imbracature, che siano quelle degli alpinisti o degli speleologi, hanno tutte la stessa funzione. E allora mi starò arrampicando verso l’alto o mi starò calando verso il basso? Impossibile rispondere.
Una settimana dopo sapevo che Edward J. Flanagan (1886-1948) era l’ottavo degli undici figli di una famiglia profondamente devota della campagna irlandese, dove un ragazzo tubercolotico e in generale gracilino come lui non poteva ambire a molto altro che a pascolare le pecore, cosa che infatti fece fino alla tarda adolescenza, quando emigrò negli USA per ragioni ignote e si procurò un’istruzione sufficiente per decidere di intraprendere la carriera ecclesiastica, dopodiché continuò gli studi in seminario in Austria e a Roma per poi stabilirsi a Omaha, in Nebraska, dove nel corso della Prima Guerra Mondiale fondò un orfanotrofio per ragazzi problematici, un istituto che crebbe rapidamente fino a formare un’intera città chiamata Boys Town e in cui assistenti sociali, magistrati e genitori disperati potevano spedire migliaia di gangster in erba, persino femmine, per essere educati al rispetto di Dio a suon di terapie choc, attività fisica spegnicervello, studio intenso e richieste generali di “obbedienza cadaverica”, e questo, va detto, per la soddisfazione di tutti – no, d’accordo, forse i ragazzi non erano sempre altrettanto contenti, ma diverse reti di pedofili vi trovarono un fornitore affidabile e ben organizzato di carne fresca, e ve lo trovò anche Hollywood, che nel 1938 produsse il lungometraggio “La Città dei Ragazzi”, tipicamente diretto da un immigrato bielorusso, una pellicola sentimentale in cui Spencer Tracy recitò il ruolo di padre Flanagan, il prete dal cuore d’oro, con tanto brio che quell’anno vinse l’Oscar per il miglior attore. Ecco, questo avevo scoperto dopo all’incirca una settimana, e alla fine mi venne da pensare che forse i fili della mia fune non erano intrecciati poi tanto bene, altro che cavo di sicurezza, al massimo poteva usarla in piano come mancorrente per attraversare le tenebre, dove l’unica cosa da scoprire era che l’espressione “obbedienza cadaverica” era stata inventata dai gesuiti nel Cinquecento per chiarire ai proseliti che da loro non ci si aspettava più resistenza di quanta ne avrebbe opposta un morto.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Lo studente di Praga

  • Drammatico
  • Germania
  • durata 35'

Titolo originale Der Student von Prag

Regia di Stellan Rye, Hanns Heinz Ewers

Con Paul Wegener, John Gottowt, Lyda Salmonova, Lothar Körner

Lo studente di Praga

 

Dunque, il padre di Hanna si chiamava Isidor Gesang, ma assunse il nome d’arte di John Gottowt. Era nato nel 1881 a Leopoli, una di quelle città dell’Europa centrale che sembrano non stare mai ferme: non le si ritrova mai dove le si è viste l’ultima volta. In senso amministrativo sono estremamente irrequiete. All’epoca la città si chiamava Lemberg ed era la capitale del Regno di Galizia, un cosiddetto possedimento della corona all’interno della doppia monarchia asburgica dell’Austria-Ungheria.
Da allora la città è stata governata via via dalla Polonia, dall’Unione Sovietica, dalla Germania e più di recente dall’Ucraina. Ovvio che dal punto di vista puramente geografico è rimasta sempre nella stessa posizione: solo il nome e il paese di appartenenza sono mutati, e di questo si potrebbe sorridere, se non fosse che anche gli abitanti sono stati sostituiti. Prima di tutto si fece in modo di sterminare la popolazione ebraica della città, che da tempo immemore era numerosissima. Poi, dopo la Seconda Guerra Mondiale, toccò ai polacchi essere scacciati.
[…] Di tutti i matti di questa storia, lui è quello con cui mi trovo più a mio agio. Per esempio conferma gran parte dei miei pregiudizi sugli ebrei: pazzoidi che fanno progredire l’umanità grazie alla lor bizzarria, alla loro fiducia in se stessi e, non di rado, alla loro intelligenza superiore. Perché sia così, se ne può discutere. Forse dipende dalle antiche persecuzioni e dalle interdizioni a certe professioni, visto quanto è difficile rubare la conoscenza.
[…] Cercate di capirmi. I pregiudizi sono come gli animali domestici. Se uno li ha è per via di una combinazione di pressioni esterne, scarso controllo sui suoi impulsi e amor proprio, e in questo non c’è nulla di sbagliato. Il trucco è tenerli alla giusta distanza. Con l’eccezione dei cani guida e di qualche altro caso particolare, gli animali domestici così come i pregiudizi sono una compagnia gradevole, ma alla lunga diventano fastidiosi. Se li si prende troppo sul serio si trasformano in zavorra e ti rincretiniscono. Per quanto ne so, i gattari non hanno mai contribuito al progresso del mondo.
[…] Già nel 1913 John intraprese la carriera di attore cinematografico. La sua prima pellicola fu “Lo Studente di Praga”, un film dell’orrore apprezzato dai cinefili, ispirato a un racconto di Edgar Allan Poe e diretto da Stellan Rye, un giovane danese creativo e spavaldo che si era trasferito a Berlino ma che l’anno seguente fu attratto dalla guerra e poco dopo si trovò crivellato di proiettili e prigioniero di guerra in Francia, dove morì. John ebbe maggiore fortuna: sopravvisse al conflitto come attore di campo e proseguì con i film, una trentina in totale.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Quarto potere

  • Drammatico
  • USA
  • durata 119'

Titolo originale Citizen Kane

Regia di Orson Welles

Con Orson Welles, Joseph Cotten, Dorothy Comingore, Agnes Moorehead, Ruth Warrick

Quarto potere

In streaming su iWonder Full Amazon channel

vedi tutti

 

[Ed ecco perché Sjöberg è sinceramente un pirlon-coglion-minchione. Ma sincero. Prima parte.]

Dopo la guerra scomparve. “Nosferatu”, che permise al suo nome di sopravvivere, è un classico del cinema, apprezzato quasi quanto “Quarto Potere”. Tanto bastò a rendermi sospettoso, e quando infine strinsi i denti e decisi di guardarlo potei constatare, come mi aspettavo, che si trattava di una sciocchezza. Si direbbe che ai suoi albori l’industria del cinema puntasse tutto su stupide buffonaggini e horror rudimentali che oggi sarebbero rivolti per lo più a un pubblico di bambini.
Va detto che nessuna forma d’arte mi è meno congeniale del cinema. Ci ho provato, a lungo, ma va quasi sempre a finire che lascio la sala prima della conclusione del film, o che spengo il televisore. Non ho nulla contro gli intrighi incomprensibili, visto che di questo è fatta la vita oggi, ma se la cosa è rappresentata attraverso immagini in movimento per me è troppo. Perdo il filo e sono poi costretto a domandare ai miei accompagnatori cosa sia successo e perché. La risposta, che di solito è un sorriso materno, non sortisce mai grandi effetti.
Ovviamente esistono film volutamente lenti, privi di una vera e propria trama che vada al di là di qualche goccia che cade dal soffitto e di una disperazione repressa in un’arida brughiera; in teoria dovrebbero essermi più congeniali, ma nemmeno questi funzionano. Di splendidi scenari naturali ne ho a sufficienza a casa mia, e non ho mai avuto un attore preferito. Le opere che gli intenditori considerano di elevato valore artistico, io le trovo senz’eccezione pretenziose, i film di guerra realistici mi spaventano a morte, le pellicole romantiche mi suscitano per lo più invidia, la fantascienza è semplicemente ridicola e gli horror mi causano solo disturbi del sonno.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Fanny & Alexander

  • Drammatico
  • Svezia, Francia, Germania
  • durata 312'

Titolo originale Fanny och Alexander

Regia di Ingmar Bergman

Con Pernilla Allwin, Bertil Guve, Börje Ahlstedt, Erland Josephson, Allan Edwall

Fanny & Alexander

 

[Ed ecco perché Sjöberg è sinceramente un pirlon-coglion-minchione. Ma sincero. Poi arriva.]

Per Ingmar Bergman posso nutrire ammirazione, ma non tanto per i suoi innumerevoli film quanto perché alla fine decise di chiuderla con il cinema, farla finita, salvo poi cambiare idea e realizzarne un altro, sulla sua infanzia, che è meglio di tutti gli altri messi assieme.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Cave of Forgotten Dreams

  • Documentario
  • Francia, Canada, USA, Gran Bretagna, Germania
  • durata 90'

Titolo originale Cave of Forgotten Dreams

Regia di Werner Herzog

Con Charles Fathy, Werner Herzog

Cave of Forgotten Dreams

In streaming su Amazon Prime Video

 

L’unica cosa che, in ambito cinematografico, mi offra gioia e intrattenimento senza limiti sono i semplici film di violenza americani, soprattutto se li ho già visti, cosa che di solito capita. Tutto è prevedibile e abbastanza divertente. Persino un sasso capirebbe il senso. Probabilmente avrei apprezzato “Nosferatu” nel 1922 quando le immagini in movimento erano sensazionali in sé.

[Il che è come criticare le Pitture Rupestri di Chauvet perché non sono la Cappella Sistina di Michelangelo, quando invece, semplicemente, lo sono.]

Inizialmente, l’idea era di realizzare una trasposizione di “Dracula”, il romanzo dell’orrore di Bram Stoker, uscito più di vent’anni prima. La vedova dell’autore, purtroppo, si mise di traverso e si rifiutò di concedere i diritti, di conseguenza i tizi della casa di produzione berlinese, spudoratamente creativi, scelsero di cambiare i nomi ai personaggi e si inventarono un altro titolo, ma per il resto rubarono tutto.
Scoppiò un putiferio, la vedova montò su tutte le furie, si mise a strillare alla violazione del diritto d’autore e incaricò degli avvocati notoriamente crudeli di intentare causa alla casa di produzione, che fece bancarotta e fu condannata a distruggere tutte le copie del film. Solo alcune sopravvissero, il che ovviamente contribuì alla fama dell’opera. La fissazione odierna per l’orrore sintetico fece il resto, così come il giro d’affari che ruota attorno a tutto quel che ha a che vedere con i vampiri.
Chi sostiene che “Nosferatu” sia un capolavoro espressionista mi ricorda quegli archeologi che vanno in brido di giuggiole di fronte alla cruda forza artistica delle incisioni rupestri dell’Età del Bronzo. Spiace contraddirli.

[Ok, è uno stupido idiota.]

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Midnight in Paris

  • Commedia
  • Spagna, USA
  • durata 100'

Titolo originale Midnight in Paris

Regia di Woody Allen

Con Marion Cotillard, Michael Sheen, Owen Wilson, Rachel McAdams, Kathy Bates, Alison Pill

Midnight in Paris

IN TV Sky Cinema Romance

canale 307 vedi tutti

 

Lo chiamavano Modì. Con l’accento sulla seconda sillaba, perché tutto questo avveniva a Parigi negli anni Dieci, e i francesi adorano i giochi di parole. C’è sempre qualcosa che non si capisce, un sottinteso, e intanto loro ridono chiusi nella propria intesa esclusiva. Maudit si pronuncia allo stesso modo; viene dal verbo maudire e significa maledetto.
[...]
In seguito tutti avrebbero conosciuto Modigliani, il genio autodistruttivo, il re dei vagabondi. Coloro che, su basi traballanti, sostenevano di essere stati amici di Picasso si assumevano un gran rischio, perché lui non moriva mai, e dunque ogni affermazione simile poteva essere verificata, almeno in teoria; l’ubriacone bohémien di Livorno, invece, era una preda semplice per chiunque cercasse di risplendere del riflesso di vecchi ricordi. Morì giovane e già prima del funerale fu trasformato in mito.
E in soldi contanti. Chi vuole credere che l’arte sia arte e i soldi siano soldi non di rado dimentica questo prosaico collegamento.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

L'infanzia di un capo

  • Drammatico
  • Francia
  • durata 113'

Titolo originale The Childhood of a Leader

Regia di Brady Corbet

Con Bérénice Bejo, Tom Sweet, Liam Cunningham, Yolande Moreau, Stacy Martin, Sophie Curtis

L'infanzia di un capo

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La guerra è finita ma allo stesso tempo no […]. Bisogna ancora anzitutto continuare a negoziare la resa e poi sottoscrivere il trattato. La pace di Versailles arrivò solo sei mesi dopo, d’estate, e non fu certo un capolavoro di ponderatezza, anzi, non fece che spianare la strada a un’altra guerra.

 

Recensione.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Ordet

  • Drammatico
  • Danimarca
  • durata 119'

Titolo originale Ordet

Regia di Carl Theodor Dreyer

Con Preben Lendorff-Rye, Henrik Malberg, Birgitte Federspiel, Ann Elisabeth Rud

Ordet

 

Per quanto mi riguarda, il dipinto mi fece tornare in mente qualcos’altro, un commento che una volta ho sottolineato per non dimenticarlo, in un breve scritto di Gustav Sundbärg intitolato “Il Carattere Nazionale degli Svedesi”. Uscì nel 1911 e fu pubblicato in appendice all’Inchiesta Nazionale sull’Emigrazione, che aveva lo scopo di esaminare, al fine di contrastarle, le ragioni dell’esodo, specialmente verso l’America, che tanti danni stava arrecando alla Svezia.
Uno dei fattori scatenanti dell’emigrazione, stando a Sunbarg, era che in genere gli svedesi sono insignificanti sotto ogni aspetto. Ingenui, deboli e facili da ingannare, quasi tutti. Ravvisa un unico ambito in cui lo svedese meglio è superiore a chiunque altro: l’amore per la natura. Ed è facile comprendere questa sua sensibilità, proseguiva, perché il paesaggio naturale svedese è idilliaco e invitante, puro e incantevole. Impossibile non amarlo, perché in nessun altro luogo esiste qualcosa di altrettanto bello. E poi per dimostrare la sua tesi sulla mediocrità e l’incorreggibile romanticismo del carattere nazionale svedese, fa un paragone con i danesi, che vengono considerati del tutto indifferenti al loro paesaggio piatto e triste, e di conseguenza appaiono molto più addentro nella psiche umana, per non dire sprofondati nei suoi abissi.
“Lo scarso interesse dello svedese per le persone si manifesta anche nel suo assoluto disinteresse per l’indagine di sé. Nessuno più dello svedese medio ha paura dell’autoriflessione. Il suo desiderio più grande è fuggire da sé stesso. Anche quando è introverso – cosa meno consueta – lo svedese fugge da sé stesso facendosi mistico. Poiché la mistica è introversione senza autoriflessione.”
E poi l’anetema definitivo. “In Svezia si possono così dedicare decenni della propria vita a studiare insetti, conchiglie, alghe e vermi, ma dedicare altrettanto tempo a studiare un essere umano? Vade retro!” Dopodiché spulcia i venti volumi delle opere complete di Georg Brandes e, forte del suo esemplare disinteresse per la natura, si compiace della propria perspicacia analitica, concludendo con una stoccata a Selma Lagerlöf, che nel popolarissimo “Il Meraviglioso Viaggio di Nils Holgersson” ha descritto il Regno di Svezia come una sorta di parco dei divertimenti per bambini.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Sogni

  • Drammatico
  • Giappone, USA
  • durata 120'

Titolo originale Yume

Regia di Akira Kurosawa

Con Akira Terao, Mitsuko Baisho, Martin Scorsese

Sogni

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Ora la solitudine inizia a farsi sentire. Non ne ho la certezza, ma credo sia così. Già “Il Mio Atelier”, una grande tela di una bellezza commovente che ritrae un atelier deserto, trasuda solitudine. Sessant’anni dopo, negli anni Ottanta, Poul Dich [il fratello di Anton; NdR] raccontò:
“Quando era ancora un padre di famiglia e pittore consolidato, Anton faticava a trovare le giuste condizioni di lavoro. Ricordo in particolare una visita a Mentone, dove abitava agli inizi degli anni Venti. Aveva un piccolo atelier, lungo all’incirca quattordici metri. Da una parte c’era la grande tela con “La Famiglia Castellar” e dall’altra aveva montato una tenda militare, un’eccedenza di magazzino americana.”
Faceva freddo. Paul arrivò d’inverno. Nella tenda, racconta, c’era una stufetta a cherosene e un tavolino pieghevole con del cibo e una bottiglia di vino. Tutta la pianificazione strategica aveva luogo là dentro; di tanto in tanto Anton correva verso il dipinto addossato alla parete ad affrontare un problema artistico, per tornare poco dopo – “come un colonnello avveduto” – al clima più temperato della tenda. E al vino.
Anche “La Famiglia Castellar”, datato 1923, è autobiografico: un ricevimento con tante persone, tutte ignote tranne il pittore stesso, che solleva il bicchiere verso l’osservatore in un brindisi. La tela è alta due metri, senza dubbio la sua più grande, a meno che qualche altra tela ancora più grande non se ne stia arrotolata da qualche parte, come un dirigibile sgonfiato. Non si può mai sapere.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Dogtooth

  • Drammatico
  • Grecia
  • durata 94'

Titolo originale Kynodontas

Regia di Yorgos Lanthimos

Con Anna Kalaitzidou, Aggeliki Papoulia, Hristos Passalis, Christos Stergioglou, Mary Tsoni

Dogtooth

IN TV Sky Cinema Due

canale 302 vedi tutti

 

Avevano un gatto, e anche galline e conigli e altre di quelle cose che le famiglie disperate accumulano per non esplodere.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Volevo nascondermi

  • Biografico
  • Italia
  • durata 120'

Regia di Giorgio Diritti

Con Elio Germano, Oliver Johann Ewy, Leonardo Carrozzo, Pietro Traldi, Orietta Notari

Volevo nascondermi

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L’oblio in cui è caduto Anton Dich ha molteplici ragioni.
Il necrologio su Politiken, scritto da un suo coetaneo, l’amico e collega Walter Schwartz, è una delle fonti migliori a mia disposizione.
[…]
«Il lavoro gli dava grandi tormenti, il suo squilibrio rasentava il patologico. Le critiche infondate potevano fargli perdere del tutto la ragione. Una volta, quando un amico osservò che uno dei sui grandi autoritratti non era abbastanza somigliante, Anton, con un gesto brusco, fece un buco rotondo nella tela, dov’era dipinto il volto, e ci infilò dentro la testa. “Ora mi assomiglia?”, urlò.»

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

L'anno scorso a Marienbad

  • Drammatico
  • Francia
  • durata 90'

Titolo originale L'année dernière à Marienbad

Regia di Alain Resnais

Con Delphine Seyrig, Giorgio Albertazzi, Sacha Pitoeff, Françoise Bertin, Luce Garcia-Ville

L'anno scorso a Marienbad

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In fondo la memoria umana è di solito un sistema un po’ caotico, come un mercato delle pulci: ci si può bighellonare per giorni e fare sempre nuove scoperte.

 

Rilevanza: 1. Per te? No

Il pianista

  • Drammatico
  • Francia, Gran Bretagna
  • durata 148'

Titolo originale The Pianist

Regia di Roman Polanski

Con Adrien Brody, Thomas Kretschmann, Emilia Fox, Ed Stoppard

Il pianista

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In quel momento arrivarono i soldati. Presto, sotto il letto. Nasconditi.
Quando entrarono nella stanza, John era sdraiato sul letto e accolse i visitatori senza cambiare posizione, come se questo potesse aiutarlo a recitare il suo ultimo ruolo. E all’inizio le cose andarono bene. […]
Ma poi qualcosa andò storto. L’ufficiale al comando della squadra riconobbe la sua voce. “Gottowt, Gottowt, ti ho già visto da qualche parte. Per la miseria… Gottowt!” E ordinò agli altri soldati di lasciare la stanza. Il bambino sotto il letto quasi non osava respirare.
L’uomo sul palcoscenico gode di molti vantaggi fintanto che la luce dei riflettori lo avvolge e la massa completamente amorfa del pubblico lo applaude, ma siccome quasi tutto in questo mondo ha un prezzo, anche a lui talvolta tocca pagare lo scotto, nel peggiore dei casi a un branco di lupi.
Così, ecco qua: un ufficiale tedesco che, accanto a un letto in una città polacca nota soltanto per la sua miniera di sale, ora si mette a raccontare di quanto lo ammiri, di come John Gottowt fosse uno dei suoi attori preferiti a Berlino, prima di quella guerra maledetta.
Henryk Schönker [il bambino nascosto sotto al letto; NdR] sentì tutto ma non vide altro che un paio di scarpe lucide, non stivali, ma scarpe, che a tratti si muovevano nervose mentre i due parlavano e tiravano fuori battute di vecchie commedie, quasi come se fossero amici, finché l’ufficiale disse che purtroppo John doveva alzarsi dal letto e seguirlo. Il processo era inevitabile, ma forse, disse, forse c’era ancora una possibilità.
John disse: “Se i miei ammiratori mi abbandonano, di possibilità non ce ne sono.”
E l’ufficiale: “Attore fino all’ultimo, eh? Vieni?”
- “No.”
Poi gli spari, due, che lo lasciarono steso sul letto. Era il 29 agosto 1942 e il ragazzino corse via, lontano lontano, tra i campi, e non fece mai parola fino a una vita dopo.
Era andata davvero così? Probabilmente no.
I ricordi d’infanzia non sono affidabili, e chi crede a tutti i cliché rischia di fare la figura del cretino, ma qualche dettaglio è certamente vero. La storia della morte di John Gottowt, che poi sarebbe stata raccontata nelle memorie di Henryk Schönker, mi fece tornare in mente quel che disse una volta Fritiof Nilsson Piraten: quel che è verosimile è spesso più vero della verità stessa.
Aveva occhio per queste cose, il Pirata, e di conseguenza in uno dei suoi romanzi scrisse una delle epigrafi più belle che conosca: “Tutto in questo libro è pura fantasia. Solo le esagerazioni sono tratte dalla realtà.”

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

L'ipotesi del quadro rubato

  • Grottesco
  • Francia
  • durata 63'

Titolo originale L'hypothèse du tableau volé

Regia di Raúl Ruiz

Con Jean Rougeul, Gabriel Gascon, Carlos Asorey, Alfred Baillou

L'ipotesi del quadro rubato

 

Chi frequenta degli artisti scomparsi, anche solo per cercare di salvare la storia di un unico dipinto da tempo dimenticato, cederà facilmente alla tentazione di lasciarsi sprofondare tra i cuscini della comodissima poltrona del vendicatore. La vita è disperatamente ingiusta. Il caso conduce il suo gioco con spietatezza esemplare, al punto che alla fine si è tentati di rifugiarsi nel calore del risentimento, noto anche a molti pittori.

 

Rilevanza: 1. Per te? No

Il filo nascosto

  • Drammatico
  • USA, Gran Bretagna
  • durata 130'

Titolo originale Phantom Thread

Regia di Paul Thomas Anderson

Con Daniel Day-Lewis, Lesley Manville, Vicky Krieps, Richard Graham, Brian Gleeson

Il filo nascosto

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Anche Ivar Arosenius sposò una donna ricca, ma questo, a quanto ho capito, non fece da freno alla sua straordinaria produttività. Anzi, quando Eva entrò in scena lui accelerò il ritmo. La sua autostima era salda come roccia; già all’epoca in cui si dedicava prncipalmente a caricature un po’ sciocche si considerava un genio, cosa che non si stancava mai di ribadire a chiunque avesse voglia di ascoltarlo.
In questo senso ricorda i blogger egocentrici di oggi: alcuni di loro riusciranno ad apprendere il mestiere quanto basta per lasciar perdere le sciocchezze e diventare davvero geniali, proprio come alla fine successe anche a Ivar.
Si cucì un abito troppo grande, e per riempirlo impiegò tutta la sua breve vita. Anton in un certo senso fece l’opposto: rimpicciolì il suo ego finché non entrò perfettamente nella divisa, minuscola fin dall’infanzia.

 

Recensione.

 

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