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L'arte della gioia

1 stagioni - 6 episodi vedi scheda serie

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La recensione su L'arte della gioia

di lamettrie
9 stelle

Stupendo: un film dal valore estetico e umano meraviglioso, quella firmato Valeria Golino e Gelormini. Il plauso cresce ancor di più se si pensa che si tratta di un prodotto concepito per la tv-  giustamente, vista l’estensione. Eppure anche al cinema l’impressione è augusta. Ho visto il film al cinema, nelle due puntate lunghe, ma mai noiose, da due ore e mezza l’una.

Come sempre, la Sicilia si conferma regina, italiana e forse mondiale, per l’immaginario estetico che offre: tanto sociale e psicologico, quanto artistico e paesaggistico.

Profondissimo lo scavo psicologico, autentico e sconcertante per quanto la realtà possa essere terribile. Infatti un’opera d’arte non ha bisogno, qui come purtroppo in tanti altri casi, di chissà quale creatività nell’inventare trame, se parla del possibile e reale ruolo del dolore morale.

Il gabelliere amante è il padre che la violentò. Ippolito è la sorella: entrambi, accomunati dalla disabilità, rivelano la splendida sensibilità umana della protagonista Modesta – dimostrata anche dalla rinascita del disabile Ippolito (una volta morta la sua terribile madre) che può vivere normalmente grazie a Modesta, capace di compiere un miracolo umano ed educativo, al netto della terribile e opportunista seduzione operata sul minorato mentale. La nobile è la madre, arrogante. La coazione a ripetere guida la protagonista.    

Il soggetto, che è tratto dal romanzo inedito di Goliarda Sapienza (a quanto pare, solo dalla prima delle quattro parti: il che lascia sperare anche in un futuro, per quanto questa opera d’arte cinematografica in sé sia esteticamente compiuta), lamenta però delle forzature che paiono eccessive: infatti nella realtà non può andare sempre così tanto bene, come va invece alla protagonista. Il caso più clamoroso è la morte del suo promesso sposo in un incidente stradale provocata dalla protagonista, la quale ormai non aveva alternative al provocarlo. Ma poteva 1) benissimo morire lei e non lui. Oppure 2) morire entrambi. Oppure 3) sopravvivevano entrambi, e per lei era un disastro. Oppure 4) moriva lui e non lei: l’unica possibilità davvero favorevole a lei. Guarda caso si avvera. Il filotto di miracoli fortunati continua con la morte della vecchia nobile, proprio quando la protagonista è incinta, e sarebbe ancora spacciata, in caso di normale sopravvivenza della nobile. Ovviamente il figlio è maschio è non femmina: le dà la posterità che le permette di mantenere vivo il prestigio della famiglia, che lei ormai domina… Insomma, è poco credibile tutta questa sequela di colpi di fortuna.

 

In ogni caso, meravigliose le scenografie, agevolate dal contesto nobiliare siciliano, notoriamente uno fra i più elevati del pianeta in fatto di estetica. La fotografia di Cianchetti valorizza ciò in modo mirabile.  Splendide pure le musiche di Toti Gudnason, inclusa una sigla finale che resta nel cervello.

I personaggi principali recitano poi assai bene. In particolare ciò vale per la Bruni Tedeschi – interpretazione da oscar - , nei panni non semplici di una odiosa, psicopatica ricca annoiata: capace di comandare su tutti, come il suo ruolo sociale, di nobile, le imponeva, facendo del gran male. Superba, idiota nonostante le arie che si vuol dare. Umanamente schifosa: una vera aristocratica. Infatti fa valere il suo rango al di là di ogni considerazione umana. Raccapricciante la sua disumanità, in particolare verso il figlio disabile, visto come una vergogna da nascondere ad ogni costo.  

Spiccano, per bellezza, sia la madre Jasmine Trinca che soprattutto sua figlia Alma Noce. Eccellenti anche i disabili. Ma in particolar modo la protagonista, Insolia, in una parte difficilissima; e il gabelliere, Caprino.

 

Storicamente (primo 900) è un ottimo affresco italiano: in particolare del ruolo, soprattutto (ma non solo) negativo della Chiesa. Istituzione che si è offerta di essere alleata della nobiltà e delle elite conservatrici, alimentando il classismo verso le masse, in un modo incompatibile con il Vangelo, che però è stato purtroppo vincente nella storia della Chiesa. Ottima anche la resa della castrazione psicologica, con la relativa sofferenza, della impostazione educativa e culturale della Chiesa medesima. La protagonista sta male, e non può che stare male, fino a cercare di ammazzarsi.

Eccellente la resa del lesbismo, specie se alimentato in contesti di solitudine forzata.

Lodevole anche la riproposizione del covid, attraverso la cosiddetta febbre “spagnola”: qualcosa di impensabile, agli occhi dello spettatore prima del covid medesimo; ma che eppure è accaduto. E spesso, nei secoli.  

Credibile è pure la riproposizione del ruolo decrepito della nobiltà, ormai al lumicino in Occidente nel primo ‘900, che però poteva resistere meglio proprio nelle parti più recondite della Sicilia. Sicilia che è baricentro dell’Italia, per capire davvero la nostra storia: nel bene e nel male.

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