Regia di Andrej Zvyagintsev vedi scheda film
Il mio interesse per il cinema è recente e, tra le mille cose che ancora ignoro, ho una sola certezza e cioè che un film deve rimanermi dentro, deve invadermi, deve emozionarmi. Andrey Zvyangintsev c’è sempre riuscito; da IL RITORNO ad ELENA (mai distribuito in Italia). Il suo cinema è potente, è coinvolgente, a tratti ansiogeno. Leviathan è, a mio modesto parere, un grande film; questo è grande cinema. Condivisibili o meno ritengo che le sue pellicole non lascino mai indifferenti. La recente collaborazione con la grande fotografia di Krichman e i martellanti temi musicali di Philip Glass sono vincenti e imprimono, se mai ce ne fosse stato bisogno, ulteriore forza ad una sceneggiatura che non appare mai banale. I fotogrammi di apertura e di chiusura del film sono rafforzati e impressi nello spettatore e ivi rimangono indelebili; potenza della natura attraverso immagini e musica di grande impatto. Non a caso tale potenza apre e conclude il film, come a significare che l’inizio o la fine hanno lo stesso spettatore: la natura, perfetto scenario che assiste immobile alla tragedia degli uomini, dei derelitti, degli eterni perdenti a scapito degli onnipresenti furbi, ipocriti, corrotti e vincenti. La tragedia si consuma. Nessun potere è escluso, compreso quello religioso, i valori che dovrebbe rappresentare, ancora una volta raggirati per l’indegno tramite dell’uomo. E’ irrilevante che si voglia collocare tale “esistere” nel contesto russo. Esistono mille Kolia. Tutto passa, le miserie dell’uomo, anche quelle dei vincenti o presunti tali, e rimane solo la maestosa immobilità delle rocce levigate dal vento e il perpetuo fragore del mare che s’infrange sulle rive. Anche i sentimenti e gli affetti sono duramente attaccati: amicizia e amore; effimeri, temporanei, evidenziati dall’insoddisfazione esistenziale e affettiva della protagonista femminile. Lo scheletro del biblico Leviatano sulla spiaggia assiste e sembra comprendere il malessere, la disperazione di Roma, il figlio di Kolia, carcassa consumata di un mostro un tempo anch’esso essere vivente (l’immagine simbolica è in questo caso fortemente emblematica). Solo la vodka che scorre a fiumi permette una esile e stordita consolazione ed è l’unico “giusto” mezzo per continuare a sopravvivere. Non c’è speranza in questo Leviathan se non in velato accenno finale. E’ la disfatta, la sconfitta dell’umanità: si può essere d’accordo o meno con tale apocalittica visione ma rimane, per quello che rappresenta e per come lo fa, un grande film.
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