Regia di Nia DaCosta vedi scheda film
Fiori, sassi, proiettili, pagine.

Tralasciando la vessata questione (argomento che fa salivare il cervello-intestino d’un proverbiale frate-cuggino nato dalla fecondazione in vitro tra un Pillon e un Pillon, praticamente una partenogenesi dell’Armageddon) del cambio di genere sessuale e di gruppo etnico (inattaccabile dal PdV dell’attendibilità storica) che interessa molti personaggi principali nel passaggio dal teatro…
“Sì, ce n’è bisogno di un po’ d’aria, altrimenti con tutti questi fiori…” (da "H.G." di H.I.)
– fra l’altro un lavoro di adattamento (l’ennesimo - circa il 25° - nel corso di un secolo di cinema e tv) che funziona molto bene aggiornando “Hedda Gabler” (1890), il semi-omonimo dramma di Henric Ibsen (1828-1906) in 32 scene suddivise in 4 atti (qui aumentati a 5) del 1821, traslandolo dalla Norvegia di fine Ottocento all’Inghilterra del dopo-guerra inoltrato, all’inizio degli anni ‘50, ovvero all’epoca (d’oltre-oceano) dei rapporti stilati da Alfred Kinsey (1894-1956) & colleghi, vale a dire Sexual Behaviour in the Human Male (1948) & Female (1953), poi cine-biografati da Bill Condon nel 2004 con “Kinsey”, e dell’inizio degli studi svolti dai coniugi William Masters (1915-2001) e Virginia Johnson (1925-2013), poi serializzati da Michelle Ashford in “Master of Sex” (46 ep. suddivisi in 4 stag. dal 2013 al 2016) –
“...ricorda l’odore che hanno i fiori all’indomani di un ballo.” (da "H.G". di H.I.)
…al cinema, persino quel paio di, ex ante, apparenti out of character (non in quanto tali, ma per come vengono costruiti e rappresentati riassestandoli facendoli riaccomodare dagli assiti del palcoscenico agli schermi casalinghi di Amazon, che distribuisce e attraverso Orion, con la collaborazione di Plan B, produce) non stonano manco un po’ (ad esempio quello che riguarda il giudice: uno Jago che tiene testa a Lady Macbeth in un mondo di Shylock) in questo “Hedda” scritto (oggettivamente/diegeticamente i sassi in tasca non hanno alcunché di woolfiano, e posso solo auspicare che sia così anche soggettivamente/extradiegeticamente) e diretto (rendendo coinvolgente quell’essenza di “patinato spento” grazie tanto ad Ibsen quanto agli attori) da Nia DaCosta (per quanto mi riguarda il suo esordio con “Little Woods” è in lista, mentre “CandyMan” un po’ meno e “The Marvels”... come dire... così, a naso... proprio no), lasciando dunque ben sperare per il di tutt’altre sorta e natura capitolo di mezzo, tra i due firmati Danny Boyle, di 28YL: “The Bone Temple”.

Tessa Thompson (già in “Little Woods”, e prima in “War on Everyone”, “WestWorld”, “Sorry to Bother You” e “Annihilation” e poi in “Men in Black International”) deve reggere sulle proprie spalle gran parte del film, e lo fa, coadiuvata da un resto del cast che va dall’ottimo di Nina Hoss (“Homeland”, “TÁR”, “Nu Astepta Prea Mult de la Sfârsitul Lumii”) e Imogen Poots (“Knight of Cups”, “Green Room”, “Vivarium”, “Outer Range”, “the Chronology of Water”) al convincente di Tom Bateman, Nicholas Pinnock, Finbar Lynch, Mirren Mack, Jamael Westman e Saffron Hocking, passando per una piccola e memorabile posa per Kathryn Hunter (“Orlando”, “the Baby of Macon”, “All or Nothing”, “il Racconto dei Racconti”, “Black Earth Rising”, “the Tragedy of Macbeth”, “Poor Things”, “Black Doves”, “Megalopolis”, “Vicious”) in zona “Downton Abbey” & “Gosford Park”.
Fotografia (funzionalmente “patinata spenta” di cui sopra) dello stevemcqueeniano (Hunger, Shame, 12 Years a Slave, Widows) Sean Bobbitt (Byzantium, Oldboy, Rock the Kasbah, Stronger, the Rhythm Section e poi con la regista da “the Marvels” al prossimo “28YL: the Bone Temple”), montaggio dell’östlund-vontrieriano Jacob Secher Schulsinger e bellissime musiche della violoncellista – “Prisoners”, “Sicario”, “the Revenant”, “Arrival”, e poi in tour con i Sunn O))), e ho detto tutto – di Hildur Guðnadóttir (“Joker”, “TÁR”, “Women Talking”, “Joker: Folie à Deux” e “The Bride!”, e poi con la regista già in “Candyman” e quindi nel prossimo “28YL: the Bone Temple”).
Sassi in tasca, proiettile in canna:
- Ami ancora le tue pistole?
- Sì.
- Perché non mi sparasti allora?
- Quando andasti via?
- Quando andai via.
- Perché era ciò che volevi.
- Certo.
- Che c’è?
- Codarda nell’animo.
- Non è stato il mio più grande atto di codardia.
- Ora sei più coraggiosa?
- …
- Certo che no.

E, a proposito, splendido utilizzo del dispositivo narratologico della pistola di Cechov, prima iper-inflazionandolo, poi disinnescandolo dietro un paravento di vetro smerigliato in una formidabile scena quasi insostenibile per la violenza in nuce che esprime (anche per chi conosce l’originale ibseniano e pensa che no, d’accordo la riscrittura, ma non può andare a “finire” in quel modo), e poi azionandolo en plein air a - consono & consueto - “tradimento”.
Sfiorisci, bel fiore.
* * * ½ (¾)
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