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TÁR

Regia di Todd Field vedi scheda film

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La recensione su TÁR

di mck
9 stelle

L’acufene rivelatore. (Marcia funebre in allegretto.)

 

 

Com’è noto alle moltitudini d’ogni latitudine e longitudine, “2001: a Space Odyssey” doveva se non iniziare almeno contenere al suo interno una parte documentaria: quel che Stanley Kubrick espulse (rintracciabile nelle “Interviste Extraterrestri” effettuate dallo stesso regista newyorkese del Bronx naturalizzato inglese dell’Hertfordshire, volume curato da quello che fu il suo assistente personale per più di trent’anni, Anthony Frewin: "Are We Alone? - the Stanley Kubrick Extraterrestrial Intelligence Interviews") lo sceneggiattore, produttore e regista Todd Field [“In the Bedroom”, “Cheyenne, WY” (il 10° ep. della 2ª stag. di “Carnivàle”), “Little Children” e poi 15 anni di silenzio aka cazzi propri], il Nick Nightingale di “Eyes Wide Shut”, lo reintegra nel quarto d’ora iniziale di “Tár” (un film che dialoga stilisticamente con “Birth” e contenutisticamente con “Vox Lux”, oltre che, per forma e sostanza, col Polanski degli ultimi... trent'anni) per interposta persona di Adam Gopnik del New York Times: il tema ovviamente qui non è la xenovita su esopianeti, ma le desinenze di genere, la traslazione dallo spartito all’orchestra e la Sinfonia n. 5 di Gustav Mahler (registrata con i Wiener Philharmoniker da Leonard Bernstein, il mentore di Lydia Tár): più in là, durante le prove, la musicista, direttrice d’orchestra e compositrice dirà ai suoi strumentisti: “Visconti, così famigliare a tutti qui, davvero non vi aiuta a conoscere meglio questo pezzo!” (il riferimento ovviamente è a “Morte a Venezia”).

 

 

“Non essere così ansioso di essere offeso.”

Y2K: erano i tempi, mezzo secolo fa, dei “ghosts” (traslati in italiano con “zulù”) di Coleman Silk e Nathan Zuckerman aka Philip Roth: «[Era] l’estate in cui il segreto di Bill Clinton venne a galla in ogni suo minimo e mortificante dettaglio. L’estate di un’orgia colossale di bacchettoneria, un’orgia di purezza nella quale al terrorismo subentrò, come dire, il pompinismo, e un maschio e giovanile presidente di mezza età e un’impiegata ventunenne impulsiva e innamorata, comportandosi nell’Ufficio Ovale come due adolescenti in un parcheggio, ravvivarono la più antica passione collettiva americana, storicamente forse il suo piacere più sleale e sovversivo: l’estasi dell’ipocrisia.» – Philip Roth - "the Human Stain" - 2000 ("la Macchia Umana", Einaudi, 2001, trad. di Vincenzo Mantovani).

 
Oggi le destre sventolano davanti agli occhi bovini dei loro elettori lo spauracchio dell’inesistente Cancel Culture.


E quant’è colonialista questa dicitura - “Made on Location in New York, Germany and East Asia” - dei titoli di coda, in cui una metropoli vale quanto uno stato-nazione che vale quanto un sub-continente, eh?2?2?

 

 

Guida come un uomoh!1!1!
Non sa cos’è l’8 marzoh!1!1!

Dice che la parità di genere su ampia scala verrà conseguita quando sarà comune e normale avere donne mediocri al potere: fatto! Ma lasciamo la politica italiana e concentriamoci sul bigottismo americano, nell’accezione di statunitense (qui nella Bassa Vecchia Europa così ben rappresentato da quegli pseudopodi della trash tv a stelle e strisce che sono gli scoli fognari di Antonio Ricci e Davide Parenti: il video girato in verticale con lo smartphone e montato con Windows Movie Maker prima di metterlo su Instagram e YouTube e l’articolo del New York Post in odor di Ronan Farrow), e mitteleuropeo, sul fesso-piagnone PanGender BIPoC [Black, Indigenous and People of Color: non proprio femmina etero islandese di pura razza Thorvaldsdottir - che cinematograficamente sta a “la Région Centrale” di Michael Snow (resosi defunto pochi giorni fa) come «4’33’’» di John Cage sta a “Empire” di Andy Warhol e “Blue” di Derek Jarman -, insomma] vs. Johann Sebastian Bach, sui coppoliani coccodrilli alloctoni che fanno concorrenza agli autoctoni bukarot filippini (Crocodylus mindorensis), sul desiderio sessuale di chi potere dispone e crea sperequazione nella distribuzione delle cariche in base al merito effettivo: Lydia Tár, una dei 22 EGOT (Emmy, Grammy - che, sarà contenta l’ex direttrice dei Berliner Philharmoniker, ora autrice per “Monster Hunter”, dal 2022 hanno introdotto la “Best Score SoundTrack for VideoGames” -, Oscar e Tony Award), 15 maschi e 7 femmine, non solo è, proporzionando e contestualizzando il termine, “cattiva come un uomo”, ma è pure, in varie occasioni, altrettanto stupida: ché non puoi, davvero, non puoi far troppo incazzare il tuo segretario personale, assistente speciale e braccio destro (un po' di rispetto per i mancini!1!1!) tuttofare pensando poi di cavartela.

 

 

Invece di Krista Sides Taylor (Sylvia Flote), suicidatasi a 25 anni, l’unica immagine non onirica (e quindi ricordata/reinterpretata da Lydia Tár) che “Tár” concede è un obituary.

 

Due frame, il momento in cui i lacerti del sogno pervadono ancora la realtà: “Eyes Wide Shut”, “Under the Skin” e... 

 

 

...Phantom Thread”. Sino al "Blonde" di Andrew Dominik.

 

 

Karma / 1.

- Non sono un misogino!
- “Misogamia”! È l’odio per il matrimonio!

- Nostalgia?
- Notalgia, nessuna “s”. 

 

 

Minoranze e categorie protette in quota algoritmo Netflix, Amazon, HBO, Apple, Disney? Ah, già: no.

 

 

Karma / 2.

- Mi spari gli MP3?
- Sì, certo, ma non vuoi i file WAV?
- No, penso solo a ciò che le persone ascolteranno effettivamente in streaming. 

 

 

“What’s Up?”, by WhatsApp (cit. & sic!).

“hows she doing”
                                          “trotted out divinity bit”
                               “fuck me if she uses allegory”    

 

 

"Tár and her fresh meat", by Twitter.

 

 

“Tár wants me dead”, by client e-mail.

 

 

E fuori, oltre il pianerottolo, altre prevaricazioni, sfruttamenti e violenze.

 

 

Cate Blanchette [già doppiatrice di Abigail Good, la “misteriosa donna mascherata”, in “Eyes Wide Shut” (traccia registrata dopo la morte di Kubrick), e poi: “the Lord of the Rings”, “Coffee and Cigarettes”, “the Life Aquatic with Steve Zissou”, “the Aviator”, “Babel”, “the Good German”, “I’m Not There”, “Blue Jasmine” (in quella ch'è forse la sua interpretazione più vicina a questa: meravigliosa, respingente, totalizzante), “Knight of Cups”, “Carol”, “Song to Song”, “Nightmare Alley”] sposta l’asticella più in su: quanto mi piacerebbe un suo buddy-buddy con Rhea Seehorn.


Nina Hoss, Noémie Merlant, Sophie Kauer, Julian Glover, Allan Corduner, Mark Strong, Zethphan Smith-Gneist e la piccola Mila Bogojevic completano il magnifico cast.

 


Fotografia di Florian Hoffmeister (“the Deep Blue Sea”, “A Quiet Passion”), montaggio di Monika Willi (sodale collaboratrice di Michael Haneke da più di vent’anni) e musiche originali di Hildur Guðnadóttir (solista al violoncello per Denis Villeneuve in Prisoners, Sicario e Arrival).

 
Music supervisor: Lucy Bright; music consultant: Natalie Murray Beale; music advisory: John Mauceri.


Repertorio: Bach, Mahler, Elgar, Wagner, Verdi, Tchaikovsky, Fernandez, Thorvaldsdottir, Burke & Van Heusen. E poi “Barbarian”, scritta da Jamahl Blokland & Bessam Witwit e suonata da Besomorph & Jurgaz.

 

 

Marcia funebre in allegretto, ovvero: l’acufene rivelatore.


* * * * ¼ - 8.5          

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