Trama
Presentato a Cannes 2025 nella sezione Un Certain Regard, il film L’inconnu de la Grande Arche ci conduce nel 1982, quando il presidente François Mitterrand (Michel Fau) lancia un concorso di architettura anonimo per costruire un monumento iconico nel cuore della Défense, perfettamente allineato con l’Asse storico di Parigi. A sorpresa, il vincitore è un architetto danese di 53 anni, sconosciuto in Francia: Johan Otto von Spreckelsen (Claes Bang).
Alla guida del più imponente cantiere dell’epoca, Spreckelsen sogna di edificare il suo “Grande Arco” come simbolo universale, puro e umano. Ma il suo ideale si scontra presto con la macchina politica, la burocrazia e le derive del compromesso. In bilico tra grandezza e fallimento, il film L’inconnu de la Grande Arche racconta la vertigine del gesto creativo di fronte alla realtà del potere.
Stéphane Demoustier firma un racconto ispirato alla vera storia della costruzione del Grande Arche de la Défense, a partire dal libro di Laurence Cossé. Ma più che un biopic o un film d’architettura, L’inconnu de la Grande Arche è il ritratto struggente di un uomo fuori scala (per statura, per visione, per sensibilità) inghiottito da un sistema che non comprende e che non vuole comprendere lui.
L’inconnu de la Grande Arche è un film che riflette con intelligenza e profondità sulle tensioni tra visione e compromesso, tra idealismo creativo e forze politiche, tra individuo e collettività. Al centro del racconto c’è la figura enigmatica di Johan Otto von Spreckelsen, architetto danese sconosciuto in Francia, che viene catapultato in un sistema politico, sociale e culturale che non gli appartiene. Attraverso di lui, il film esplora lo scontro tra l’utopia personale e la macchina statale: da un lato, la purezza assoluta del gesto architettonico, dall’altro, le logiche di potere, di controllo, di mercato.
Il film è anche una riflessione sul ruolo della creazione, che sia architettonica o cinematografica, in un contesto industriale, e sulle dinamiche che si instaurano tra un artista e l’apparato che finanzia, supervisiona, orienta il suo lavoro. Spreckelsen incarna l’artista puro, ossessionato dalla propria visione, incapace di piegarla al pragmatismo, spesso soffocato da una realtà fatta di tecnocrati, di comitati, di rivalità interne. La sua parabola tragica interroga il prezzo dell’integrità e le zone grigie che separano il compromesso dalla compromissione.
Ma L’inconnu de la Grande Arche è anche un film sul potere, sulla fascinazione che esercita e sulla sua struttura fondamentalmente monarchica sotto le spoglie repubblicane. Mitterrand appare come un sovrano capace di un colpo di genio nel riconoscere il talento invisibile ma anche vittima o complice di un sistema che si rivolta contro i suoi stessi slanci visionari. Intorno a lui, la “corte” istituzionale si muove tra servilismi, carri opportunismi e parole codificate, mentre la figure femminile di Liv (Sidse Babett Knudsen), unica donna in un mondo di uomini, ricorda l’indispensabile invisibilità delle presenze silenziose nel processo creativo.
Infine, il lungometraggio si interroga sull’idea stessa di modernità: il Grande Arche, simbolo di progresso e di apertura al futuro, diventa lentamente il teatro di un’involuzione, dove l’ideale viene eroso dal management, dall’efficienza, dal rigore. In questo senso, la vicenda di Spreckelsen è una metafora lucidissima sulla fragilità degli ideali artistici di fronte alla spinta normalizzatrice del sistema.
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