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Death of a Unicorn

Regia di Alex Scharfman vedi scheda film

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La recensione su Death of a Unicorn

di mck
5 stelle

Sì, si vedono i tre liocorni. (E brufolazzi via!)

 

Quattr’e quattr’horror (e dintorni) del 2025:
• “Death of a Unicorn” (U.S.A.), commedia dark fantasy-horror scritta e diretta da Alex Scharfman: **½ - **¾
• “Bring Her Back” (AUS), horror psicologico-soprannaturale scritto da Danny Philippou & Bill Hinzman e diretto da Danny & Michael Philippou: **¾ - ***
• “28 Years Later” (U.K.), horror post-apocalittico di formazione scritto da Alex Garland e diretto da Danny Boyle: ***½ - ***¾
• “Weapons” (U.S.A.), horror-mistery scritto e diretto da Zach Cregger: **¾ - *** 

 


Alex Scharfman, dopo aver co-prodotto due cosette niente male quali “Blow the Man Down” e “Resurrection”, debutta come sceneggiatore e regista di un lungometraggio scrivendo e dirigendo “Death of a Unicorn”, questa sciocchezzuola per tutti (anche se ci sono un paio di sbudellamenti) e per nessuno che, per lappunto, passa e va: non così “folle” come “Cocaine Bear”, non così “espressiva” come “The Man Who Killed Hitler and Then the Bigfoot” e non così folle ed espressiva come “NAGA”, è un film talmente sbagliato sotto molti aspetti che compie tutto il giro (è ambientato sulle Montagne Rocciose canadesi, "evidentemente" l’ultimo avamposto/rifugio del retaggio delle mitopoiesi antico-medievali euro-asiatiche forse estintesi in loco ed importate - o diasporicamente giunte da sé attraverso lo Stretto di Bering ghiacciato - dai coloni europei tipo "American Gods", perché se Yeti e Sasquatch sono due leggende folkloriche originali e indipendenti, se pur convergenti, non ho mai sentito Toro Seduto, Cavallo Pazzo, Nuvola Rossa o Geronimo raccontare di bisonti o Appaloosa/Mustang mannari con pupille verticali, a meno che, dato loro giusto qualche centinaio danni dacclimatamento e d’attesa, non possa trattarsi dun ferino risveglio, giunto dopo unopportuna diapausa secolare, se pur attraversato da un reticolo di highway asfaltate) e… beh, almeno riesce a compiere un giro.

 

                     E... brufolazzi via! 


La compagnia dattori (con la fotografia di Larry Fong, il montaggio di Ron Dulin, le musiche di Dan Romer & Giosuè Greco nella norma e la co-produzione esecutiva - qualsiasi cosa significhi - di Ari Aster) aiuta (merito anche dellassemblaggio rifinito dalla mitica responsabile/direttrice di casting Avy Kaufman) a trainare il tutto verso la fine: Jenna Ortega (“the Fallout”, X, “Wednesday”, “Miller’s Girl”, “Beetlejuice Beetlejuice”, “Hurry Up Tomorrow”, “Klara and the Sun”, “the Gallerist”) è un raggio di sole nero, Richard E. Grant (“Saltburn”), Téa Leoni (“Hollywood Ending”) e Paul Rudd (“Only Murders in the Building”, “Ghostbusters: Afterlife & Frozen Empire”) fanno il loro, Will Poulter (“the Revenant”, “Midsommar”), Sunita Mai (“GLOW”, “Save Yourselves!”) e Stephen Park (“Asteroid City”) c’hanno quelle facce lì, sempre giuste, mentre una menzione particolare va ad Anthony Carrigan (“Barry”), il Toni Bonji d’oltreoceano.

 

[Arazzo vero: the Unicorn in Captivity, da the Unicorn Tapestries.]

 

[Arazzo "falso": copertina dell'album di Romer & Greco che, tra l'altro, riassume (spoiler in alto a destra!) il film.]


E sì, si vedono i tre liocorni. (E brufolazzi via!)

**½ - **¾ (5.25)  

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