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Honey Don't!

Regia di Ethan Coen vedi scheda film

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La recensione su Honey Don't!

di mck
8 stelle

Slapper in Action, ovvero: “Perché voi buchi di culo siete sempre armati?”

 

 

Scritto da Dio (anche se sì, il twist pre-finale è un po’ forzato, “ma però” struggentemente triste, eh!), invero dai coniugi cineasti e anche co-produttori Tricia Cooke ed Ethan Coen, che lo dirige, il muliebremente spietato “Honey Don’t!”, secondo capitolo della “Lesbian B-Movie Trilogy” principiata da “Drive-Away Dolls” (a fare da tratto d’unione Margareth Qualley, la sempre protagonista, e un paio di dildi anatomicamente corretti, ma in questo caso non ricalcati su famosi peni esistenti, corredati però da butt plug e anal beads), incanta a cominciare dai titoli di testa coi nomi di cast artistico e tecnico incorporati nel paesaggio antropico di Bakersfield, nello sprofondo (buttarsi in una chiesa, in un bar, in un supermercato, in un cinema con una pietra al collo) californiano a sud di Fresno (il bacino prosciugato del Tulare Lake nella porzione meridionale della Central Valley), e Brittany Howard degli Alabama Shakes quale coro greco premonitore con la “We Gotta Get Out of This Place” di Barry Mann e Cynthia Weil portata al succeso dagli Animals, più un mezzo passo da uno dei Vangeli (“For God sent his son into the world not to judge it.” – Giovanni, 3:17), reso “anarchico” dalla sua incompletezza, che di quell’iperrealistico landscape n’è autoctona parte integrante, anche se per l’appunto mozzo della sua ancor più consolante, m’al contempo impegnativa (per Gesù così come per “noi”), prosecuzione: “...ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.”

 


- Tua nipote frequenta quella chiesa inquietante?
- No. Voglio dire... Fino ad ora non lo avrei pensato. Ma se hai subito una violenza, ti senti vulnerabile e sai che a casa non hai qualcuno che ti sta a sentire... dove vai? Questa chiesa non fa che lanciare segnali e gettare esche: “Vieni da noi, vieni da noi, vieni da noi!”, e forse se te ne hanno date abbastanza, di batoste, ci vai.
- Forse. O forse vai al bar.
- Sì, o al centro commerciale, o al cinema, o a pattinare. Comunque: forse.

 

 

Completano il cast una meravigliosa Aubrey Plaza, incarnazione (tra - davvero! - “Parks and Recreation”, “Scott Pilgrim vs. the World”, “Safety Non Guaranteed”, “the To Do List”, “Ned Rifle”, “Life After Beth”, “the Driftless Area”, “Addicted to Fresno”, “Joshy”, “Legion”, “the Little Hours”, “Ingrid Goes West”, “An Evening with Beverly Luff Linn”, “Black Bear”, “Happiest Season”, “Best Sellers”, “Calls”, “the White Lotus: Sicily”, “Spin Me Round”, “Emily the Criminal”, “My Old Ass”, “Megalopolis” e, chissà, “Olga Dies Dreaming”) della distorcente estremizzazione di un pensiero considerabile di studio esente da bias, ovvero la colpevolizzazione - o... responsabilizzazione - delle vittime, e poi i diversamente - ma sempre acutamente - gonzi Chris EvansCharlie DayBilly Eichner, Christian Antidormi e Josh Pafchek, un’interessante e molto brava Gabby Beans e le facce giuste di Lera Abova (d’accordo, patriarcato, non solo la faccia), Kristen Connolly, Talia Ryder (“Never Rarely Sometimes Always”, “Do Revenge”), JacnierKinna McInroe, Don Swayze, Lena Hall e Kale Browne.

 

 
“So come appare questo posto. È vecchio. È la casa in cui sono cresciuta. [...] Questo posto è una polveriera, niente estintori, non soddisfa gli standard.”

 


Fotografia di Ari Wegner (anche principale operatore alla macchina), montaggio della stessa Tricia Cooke e di Emily Denker e musiche di Carter Burwell: squadra che, coadiuvata prima da Lace Manhattan (vale a dire la stessa Margareth Qualley) con la “In the Sun She Lies” (l’extra-diegetico videoclip è stato diretto dalla stessa Talia Ryder) scritta col marito Jack Antonoff e poi da Wanda Jackson con la quasi omonima (galeotta fu una virgola, che però sarà presente nel capitolo finale della trilogia, "Go, Beavers!") e preesistentemente titolante “Honey, Don’t!” (entrante però solo sul finir della scena, all’iniziar dei titoli di coda) di Carl Perkins, costruisce due momenti per situazione, costruzione, ambientazione, uso delle inquadrature e della profondità di campo “puramente” freecinema (con zoom altmaniani) l’uno e hitchcockiano (tra “Psycho” e “Vertigo”) l’altro.

 


Slapper in Action, ovvero: “Perché voi buchi di culo siete sempre armati?”

 

 


* * * * (¼)   

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