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Il complottista

Regia di Valerio Ferrara vedi scheda film

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La recensione su Il complottista

di barabbovich
7 stelle

Un tranquillo barbiere della periferia romana (il film è girato al Quadraro) vede nell'intermittenza di segnali luminosi del lampione che sta di fronte al suo negozio la trasmissione di allarmistici messaggi in codice Morse. Paladino della controinformazione, si ritrova persino la Digos in casa, sotto gli occhi stupiti di moglie e figlio. Una volta decodificati i segnali del lampione, il caso diventa di dominio pubblico, in quel piccolo circondario che dal bar arriva sui social attraverso l'amplificazione di un canale dedicato e a una trasmissione radiofonica. Quando il barbiere comincia ad avere un piccolo seguito, la moglie (Attili) - esasperata - lo lascia.
A partire da un cortometraggio premiato al Festival di Cannes, Valerio Ferrara dilata lo spunto iniziale, fa un'opera di maquillage sul cast (assoluto punto di forza del film, con quelle facce così indovinate e così tipicamente romane) e riesce a realizzare un'opera tanto leggera quanto fresca, nella quale il fenomeno complottista viene letto con sorniona bonomia in una chiave che cerca più il grottesco che non la sociologia. Il barbiere interpretato da Fabrizio Rongione - perfetto nel ruolo con la sua aria perennemente malinconica da uomo più che arrabbiato, deluso - incarna un'Italia stanca, spaesata, in bilico tra risentimento e bisogno di senso. E se l'accento francofono del protagonista lascia sospettare un ritorno da un passato migrante, la sua rabbia ha più a che fare con la vita che con i poteri forti: un padre mediocre, un marito spaesato, un cittadino che cerca un nemico per non guardarsi allo specchio. A conti fatti, lo snodo narrativo indica proprio in lui (un belga), un albanese (Ilir Jacellari, il più convinto sostenitore delle teorie complottiste) e in un napoletano (Ernesto Mahieux) i suoi uomini-chiave: tutti personaggi "alieni" in un mondo disposto a credere a tutto. E se il finale lascia volutamente aperte le porte del dramma interiore, è proprio perché il film, pur evitando la lezione sociologica, sfiora il cuore di un'Italia reale: quella che si nutre di sfiducia, bollette accartocciate e micro-follie quotidiane e che in una torcia militare comprata al mercatino vede l'ultima occasione di sentirsi parte di qualcosa.

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