Regia di Sean Wang vedi scheda film
In una California dove tredici anni non bastano certo ad abituarcisi (a meno che non si rinunci ad essere se stessi), il giovane Chris/“Wang -Wang” (che sembra il verso di una papera) fa di tutto per riuscire ad essere accettato, integrato, capito, amato. Lo fa con una faccia (quella di Izaac Wang) che assomiglia in maniera (doppiamente) inquietante a quella della top-attrice coreana top-model Bae Doona, ma questo magari è solo una mia allu-cine-azione per cui non approfondisco… ma lo fa comunque con una faccia e con una caratterizzazione assolutamente credibile, coerente, azzeccata, tenera e coinvolgente.
Le vicende familiari/amicali/amorose del protagonista catturano fin dal primo fotogramma (anzi, dal primo rumore), e accompagnano lo spettatore in tutti i suoi goffi, ma coraggiosi tentativi di essere come tutti gli altri (che non gli mancherebbe niente, se non il coraggio di crederci). Se non che la sua timidezza e la sua insicurezza lo portano a sbagliare una quantità innumerevole di volte: i pochi secondi che lo inquadrano accovacciato e solo, in piena notte alla fermata del bus sono la perfetta sintesi del personaggio.
Personaggio a quale il regista Sean Wang non risparmia certo la ribalta: gli amici dell’inizio (fantastica l’interazione multietnica con il ceppo pakistano), i conflitti tipicamente adolescenziali con la sorella maggiore e la madre e la nonna, i nuovi “non-amici” dal club dello skateboard… ma soprattutto un’altra scena imperdibile: tre/quattro minuti di camera fissa su lui e la sua “fiamma” che disquisiscono di cinema, e lui che si arrampica sugli specchi delle sue bugie, e quando le bugie avevano fatto effetto su di lei, non riesce a concretizzare.
Una storia che racconta una vera battaglia, anzi una guerra, e con un eroe con tutti i requisiti a posto.
Ciò che ancora colpisce del film è come, girato nel 2024, sia riuscito a catapultarsi negli ultimi anni del primo decennio del secolo (se non erro, è ambientato nel 2008), quando ancora gli smartphone non erano diffusi, e c’era ancora Windows XP come sistema operativo di riferimento. Era un secolo fa, in termini di “evoluzione tecnologica”, e la messa in scena di una generazione che oggi avrebbe solo trent’anni o giù di lì già ha il sapore di “vintage”, se non addirittura “retro’” lascia a tutti, oggi come oggi, diversi interrogativi con cui confrontarsi (sempre che se ne abbia la voglia e il tempo).
Ultime considerazioni: molto apprezzabile la colonna sonora, sia per le scelte, sia per i tempi. Meno, invece, l’eccessivo sovrapporsi dei dialoghi in inglese e in taiwanese che, per una fruizione in lingua originale sottotitolata, costringe ad uno sforzo che avrebbe potuto a mio avviso essere parzialmente attenuato.
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