1 stagioni - 16 episodi vedi scheda serie
Da illo tempore e in ogni luogo, la famiglia è il centro nevralgico della società. Il punto in cui tutto nasce e infine – si spera, dopo tanto tempo, dopo essere dapprima cresciuti/maturati e poi invecchiati – muore, un rifugio unico/prediletto nel quale trovare la risposte che cerchiamo e anche confronti aspri, una sincerità totalmente priva di secondi fini e quelle raccomandazioni che non vorremmo proprio ascoltare, un focolare accogliente e nodi da sciogliere a ogni costo, con la condivisione su più piani di tutte le esperienze che il destino propone/impone, siano esse meravigliose o mostruose, illuminanti o deludenti, fonte di conforto o di angoscia.
Entrando nello specifico dei sedici episodi che la compongono, la prima stagione de Quando la vita ti dà mandarini raccoglie, distilla/personalizza e distribuisce un bagaglio pressoché sconfinato di frammenti umani, dispiegandosi/volteggiando su più generazioni e identificando un pugno di supporti estremamente solidi/efficaci. Alterna i toni, cambiando corsia con apodittica facilità, ma soprattutto sfoggia un’intesa che avvicina i limiti della perfezione, tra uno storytelling capillare, una rappresentazione che attraversa con disinvoltura diversi decenni e personaggi/interpreti che si fondono con innata naturalezza, vivendo di luce propria e traendo ulteriore giovamento da quella altrui.
Corea del Sud, sull’isola di Jeju nei primi anni ‘60. Nonostante gli sforzi della sua amorevole/combattiva madre, la piccola Ae-sun vive in una condizione familiare complessa e segnata dalla povertà, corteggiata fin dalla tenera età dal cocciuto/gentile Gwan-sik. Poco più che adolescenti, dopo un tentativo di fuga fallito e sfidando i dettami dei parenti, i due si sposano e cominciano a costruire una loro famiglia, lottando con le unghie e con i denti per sopravvivere.
Tra colpi di fortuna che fanno sperare in un futuro finalmente roseo e tiri mancini in grado di rimettere (quasi) tutto in discussione, Ae-sun e Gwan-sik non perderanno mai la dignità e la forza interiore che li contraddistingue, necessari per tentare di rovesciare i pronostici avversi, vedendo crescere i figli, a loro volta alle prese con una società completamente mutata, tra nuove opportunità da prendere al balzo e altrettante trappole da schivare per non ritrovarsi con le gomme a terra.
Forse la vita non sarà un film ma potrebbe tranquillamente essere una serie televisiva, soprattutto se si tratta di un prodotto sostanzioso e grondante di emozioni (di stampo comune ma interpretate/rese come se fossero speciali) qual è l’agrodolce Quando la vita ti dà mandarini. Creata e diretta da Kim Won-seok (Incomplete life, Arthdal chronicles), nonché scritta da Im Sang-choon (When the camellia blooms, Fight for my way), prende per mano e fronteggia il tempo che scorre con le sue stagioni (gli inverni da superare, la primavera da accarezzare/tutelare/cogliere in tutta la sua bellezza), accostando/aggregando ruoli scritti e destini assegnati, elementi tipici della società coreana (vedi il duro/pericoloso lavoro delle haenyeo, già presentato nel documentario The last of the sea women) e aneddoti curiosi (tra tradizioni e progresso, tavole imbandite e sbalzi d’umore), pagine di storia che – tra crisi esiziali e boom economici - si riverberano direttamente sulla gente comune e complementi d’arredo altamente redditizi (tra i tanti a referto, a un certo punto viene proiettato Nuovo cinema Paradiso).
Un tragitto lineare e fluente, dal primo antipasto fino all’ultima portata, che non manca di aprire finestre sul futuro (giocando d’anticipo) e di riprendere scorci del passato per punteggiare ogni ripiano temporale; un libro aperto ricolmo di sogni nel cassetto e di reti di salvataggio, con connessioni speciali/vibranti (nella fattispecie, moglie-marito, madre-figlia, padre-figlia) e gli scarti tra le varie epoche, valorizzando ogni singola scanalatura con l’ausilio di inserti calibrati, una pregevole chiarezza espositiva e un linguaggio della porta accanto, per un battito cardiaco di tipo universale, che chiunque può afferrare senza alcuno sforzo. Insomma, gli autori sono riusciti a incardinare sequenze segnanti/indimenticabili, in un ricettario che fa l’elastico in scioltezza tra i suoi poli e che comprende una significativa/inconfondibile forza di volontà e il valore della dignità, sensi di colpa e confronti generazionali, lacrime e sorrisi, silenzi ammantati di dolore e frasi urlate a squarciagola, sguardi carichi di sentimento e separazioni, gesti di generoso altruismo e sacrifici gravosi.
Un assemblaggio mirabile e coerente, coadiuvato da un arrangiamento deliziosamente suscettibile e avvolgente, che ricava un’imprescindibile fonte di addizionale energia/pathos dalla stoffa del suo brillante/intonato cast, nel quale spiccano almeno tre nomi di prestigio, qui in gran spolvero. Così, Moon So-ri (Oasis, La moglie dell’avvocato) mantiene un’intensità inossidabile/straordinaria abbinandola a un’espressività calzante/coinvolgente, Park Hae-joon (Believer, Emergency declaration) dona una fierezza inscalfibile e piena di comprensione, mentre IU (Le buone stelle) aggiunge una freschezza scomposta e genuina, in parole povere la sua presenza è incantevole.
In buona sostanza, Quando la vita ti dà mandarini conquista per un approccio di ficcante semplicità, ricettivo e snodato, che si mescola a una ragguardevole ricchezza di contributi, a stimoli - volitivi e plurimi - che non terminano mai di scorrere davanti ai nostri occhi e a calamite umane difficili da lasciare andare.
Una serie che trasuda di vita vissuta, con una sfilza di aromi da assaporare e conservare, un prodotto che suscita effetti terapeutici nei confronti della superficialità, degli egoismi e della cattiveria che imperversano nei nostri tribolati giorni, una mistura magica che fa venire voglia di essere persone migliori e di dire una parola in più quando si presenta l’occasione propizia, imparando a non dare per scontati quei doni che impreziosiscono ogni giornata, nella buona così come nella cattiva sorte.
Ariosa e premurosa, infaticabile e squillante, con un capitale umano decisamente appagante, amplificato/variegato all’ennesima potenza.
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