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MONSTERS: La storia di Lyle ed Erik Menendez

1 stagioni - 9 episodi vedi scheda serie

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La recensione su MONSTERS: La storia di Lyle ed Erik Menendez

di scapigliato
9 stelle

Notevole. Non solo il "mostro" Javier Bardem è notevole, ma i due attori protagonisti e Chole Sevigny. Notevole è il racconto e ancor di più la sua "forma", a tratti barocca e a tratti classica, ma mai scontata. Piani sequenza, montaggio sincopato, "estetico" e anche proibito (come lo amo io). Per non parlare del grande convitato di pietra: il sesso, o meglio il suo abuso.

Al di là del fatto di cronaca (innocenti o colpevoli?) e al di là della morbosità di superficie del fatto di cronaca, il vero tema che viene sviscerato trasversalmente, raramente in modo diretto assunto a tema cardine, ma sempre rintracciato in qualche piega, in qualche angolo della narrazione, è l’ipotetico abuso sessuale dei fratelli Menéndez da parte di padre e forse madre, a loro volta abusati in tenera età, a innervare non solo il racconto vero e proprio, bensì tutta l’impalcatura teorica della serie.

Il sesso, se malato, insano, tossico, abusivo e quant’altro, crea legami di forza immarcescibili: umiliato e umiliante, passivo e attivo (e guarda un po’ sono anche categorie identitarie) in una spirale che non trova né sosta né fine – la linea diretta va dalla nonna al padre al figlio al fratello.

Ryan Murphy ha saputo raccontare per immagini la sessualità come linguaggio dei rapporti di forza. E ciò che più conta è che ha saputo farlo grazie a una narrazione appunto per immagini tanto barocca quanto classica, riconvertendo la ricostruzione d’epoca (qui gli anni ’80 e ’90) in una parete platonica su cui proiettare la grammatica rupestre del linguaggio più vecchio del mondo, quello del corpo e della sessualità. Rupestre perché sono sagome, silhouette, segni quasi monotematici che ispirano soggetti più complessi, radicati nell’ancestrale; rupestre perché segni selvaggi e primitivi di forze elementari e naturali che trovano forma e significato risemantizzati in segni e codici visivi di altre epoche.

I fratelli Menéndez, ovvero o “meglio”, i loro ersatz riuscitissimi interpretati da Cooper Koch e Nicholas Chávez come ulteriore conferma del particolare come universale. Segni che diventano tutto grazie alla (pre)potenza della loro figurazione. Non a casa Murphy sceglie due “corpi” prima che due attori, che poi si riveleranno anche tali perdendo comunque il confronto con il corpo imponente e la statura gigantesca di Bardem, vero convitato di pietra interno alla diegesi e, essendo lui stesso “ersatz” definitivo del membro maschile, anche convitato di pietra tematico.

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