1 stagioni - 7 episodi vedi scheda serie
Se si volesse trovare un tratto comune alla generazione del Dogma 95 danese è la pulsione all'autodistruzione. Su Von Trier ça va sans dire o quasi, ma su Thomas Vinterberg il discorso è probabilmente più complesso. Dopo i cinici inizi di Festen, o le deviazioni imprevedibili di Dear Wendy, Vinterberg ha ripiegato su un maggiore comodismo commerciale, al confine coi buoni sentimenti più o meno nascosti dietro a tentativi di lettura sociologica del suo paese (basti pensare a La Comune o a Druk). Families Like Ours, serie tv presentata in anteprima a Venezia 81, vive decisamente dentro quel comodismo, ma c'è quasi un programmatico ritorno a all'autodistruzione di cui sopra: è infatti, la serie, basata sull'idea che la Danimarca debba essere evacuata perché i livelli del mare si stanno alzando e non ci sarà più luogo abitabile dal momento dell'annuncio a pochi anni. Questo segna la miccia di una lunga saga familiare, un incubo ucronico cui segue la diaspora dei componenti di una famiglia allargata, fatta viaggiare attraverso Francia, Inghilterra, Russia, Polonia, Germania, Romania, in un tentativo di raccontare l'Unione Europea e il presente attraverso il filtro di una piccola Apocalisse. Che poi piccola tanto non è, visto che in ballo è il destino della cultura e del popolo danese, destinati a uno sparpagliamento irrisolvibile.
Dunque, autodistruzione, una serie danese su una Danimarca che finisce. Certo però con un decisivo tentativo di restaurazione, attraverso storie di grandi sentimenti. Per fortuna nel maneggiare la (prolungatissima) materia narrativa Vinterberg non disdegna alcuni elementi di cinismo, che compensano ai toni più pietistici: omicidi, rapporti familiari insanabili, scelte assurde e prive di ragione che mettono a repentaglio la vita dei protagonisti. Nelle scelte della giovane protagonista Laura vive per esempio il fantasma delle protagoniste vontrieriane, nella sua scelta migratoria dal sicuro fallimento, nel quarto episodio; e le scelte dei coniugi Nicolaj ed Henrik richiedono una spassionata sospensione della morale comune. La storyline del piccolo Lucas poi, che fa da termine grottesco e fatalista, è la punta visibile di questo iceberg di sommesse crudeltà. In compenso, quando si tratta di grandi sentimenti la serialità concede un respiro anche a registi meno efficienti. Ed è forse così che Vinterberg facendo prevalere alla fine questi ultimi riesce comunque a trovare dei momenti di grazia, in mezzo al (vontrierano) accanimento su personaggi sfigati che devono ricostruire i pezzi di una vita frantumata.
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