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Feud

2 stagioni - 16 episodi vedi scheda serie

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La recensione su Feud

di steno79
8 stelle

Da parecchio tempo non vedevo una serie televisiva, e ho scelto per riavvicinarmi a questo format la serie antologica “Feud” creata da Ryan Murphy e andata in onda sul canale via cavo Fx. La serie è divisa in otto puntate e racconta della storica rivalità professionale e umana fra le due attrici Joan Crawford e Bette Davis, rivalità che iniziò negli anni Trenta per motivi sentimentali (a quanto pare le due interpreti si disputavano l’attore Franchot Tone, che sposò la Crawford) e poi proseguì anche in seguito, fino a quando girarono insieme il film “Che fine ha fatto baby Jane?” di Robert Aldrich, che fu un grande successo al botteghino. La serie ci fa assistere ai retroscena della lavorazione del film, alla sua uscita nel 1962, agli intrighi per l’assegnazione dell’Oscar che, a quanto pare, la Crawford fece di tutto per non far vincere la sua collega, per gelosia e rabbia di non essere stata candidata anche lei. Si passa poi alla lavorazione di “Piano, piano dolce Carlotta” in cui le due attrici dovevano recitare nuovamente insieme sempre dirette da Aldrich, ma la Crawford bloccò per parecchie settimane le riprese con una malattia che a quanto pare era simulata, e si arriva alle ultime battute delle rispettive carriere nell’ultimo episodio, con la Crawford che gira in Inghilterra il pessimo thriller “Trog”.

 

Susan Sarandon

Feud (2017): Susan Sarandon

 

E’ una serie girata con larghezza di mezzi, un numero abbastanza ampio di set, una fotografia che riproduce con molta cura le tinte dei favolosi anni Sessanta. Il cast è notevole e comprende ben quattro attrici premio Oscar come Jessica Lange, Susan Sarandon, Kathy Bates e Catherine Zeta-Jones; da notare che fra i registi dei singoli episodi c’è anche l’attrice Helen Hunt, ugualmente premiata con l’Oscar. La sceneggiatura mi sembra generalmente interessante, riuscendo a dare un ritratto delle attrici e del mondo hollywoodiano tutto sommato credibile, per quanto probabilmente non manchi qualche forzatura. I personaggi hanno uno spessore psicologico non trascurabile: qui Joan Crawford è isterica, insicura, vendicativa, ma non è ridotta al livello di una macchietta come lo era nel celebre “Mammina cara” interpretato da Faye Dunaway. Bette Davis è ugualmente caratterizzata come una donna matura dai difficili legami familiari con la figlia, come una diva al tramonto che mette tutto il suo talento a disposizione della sfida professionale che le viene proposta da Aldrich: anche se è improbabile che i due siano andati a letto come si vede nel film, il personaggio ha una sua robusta consistenza, e la sua malinconia suona autentica nei numerosi dialoghi che affrontano il tema del declino. Certo, non tutto è perfetto e certe puntate come quella degli Oscar a tratti risentono di un’impostazione un po’ superficiale, ma comunque non siamo ai livelli di gossip edulcorato e di banalizzazione che si ritrovano in tante altre miniserie su Hollywood. Le due attrici si affrontano in una gara di bravura degna in tutto di quella di Davis e Crawford, e non saprei stabilire facilmente chi ne esca vincitrice: la Lange dà sicuramente una delle sue migliori performance degli ultimi anni, con una gamma espressiva molto varia e pochissime stonature, e la Sarandon ritrova il piglio istrionico dei suoi migliori film degli anni 90. Ma bisogna ricordare anche Alfred Molina che rende bene l’orgoglio professionale di Robert Aldrich, regista che nella sua epoca doveva essere molto sottovalutato anche se poi una parte della critica lo avrebbe rivalutato, Stanley Tucci che schizza con pochi tratti essenziali l’arroganza di Jack L. Warner, Judy Davis che disegna una Hedda Hopper forse un po’ prevedibilmente schiava del suo clichè di regina del pettegolezzo, una Alison Wright che col ruolo di Pauline ci ricorda che a Hollywood negli anni 60 qualche donna provava a fare la regista, ma il sistema remava ancora contro (eppure la Crawford negli anni 30 era stata diretta da una regista come Dorothy Arzner, quindi non avrebbe dovuto boicottare un’aspirante regista circa trent’anni dopo). Buone anche le prove di Jackie Hoffman come Mamacita e Dominic Burgess come Victor Buono, mentre le scene in cui la Bates e la Zeta Jones vengono intervistate in stile mockumentary non mi sono sembrate fra le cose migliori della serie. L’episodio migliore è probabilmente l’ultimo, con scene notevoli come il sogno in cui la Crawford gioca a carte con la Davis, Hopper e Warner, ma la qualità generale è buona e non vi sono cadute clamorose in altre puntate. Spesso efficace l’uso del montaggio alternato, non male la riproposta di alcuni flashback su film-chiave delle due attrici in bianco e nero, azzeccato l’inserimento delle canzoni fra cui addirittura “The end” dei Doors nell’ultimo episodio. Su ben 18 candidature ai premi Emmy, solo due vittorie per trucco e acconciatura.

Voto 8/10

 

Jessica Lange

Feud (2017): Jessica Lange

 

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