Quando L’amour fou di Jacques Rivette, il film proposto da Rai 3 la notte del 1° marzo, debuttò nel 1969, fu subito chiaro che non si trattava di un film ordinario. Con le sue quattro ore e quattordici minuti di durata, la pellicola si distinse come un'opera radicale, un'esplorazione intima e dilatata delle dinamiche amorose e creative. Oggi, grazie a una meticolosa restaurazione in 4K supervisionata da Caroline Champetier, il film L’amour fou torna sugli schermi di Rai 3 per ricordarci il potere del cinema come specchio delle fragilità umane.
L'amour fou (1969): Bulle Ogier, Jean-Pierre Kalfon
Tra palcoscenico e realtà
Il film L’amour fou racconta la storia di Claire (Bulle Ogier) e Sébastien (Jean-Pierre Kalfon), una coppia la cui relazione si sgretola mentre le loro vite professionali si intrecciano e si contrappongono. Claire, attrice teatrale, si prepara a interpretare Hermione nell’Andromaque di Racine, sotto la direzione di Sébastien. Durante le prove, Claire affronta difficoltà crescenti nel recitare il suo ruolo e, in un atto impulsivo, abbandona il teatro. Sébastien, senza esitazione, la sostituisce con Marta, la sua ex moglie.
Questo cambiamento segna l'inizio della discesa di Claire in un abisso psicologico. Mentre Sébastien si immerge nel lavoro teatrale, Claire si isola nel loro appartamento parigino, consumata dalla gelosia e dalla sensazione di abbandono. La narrazione si sviluppa attraverso lunghi piani sequenza e riprese documentaristiche, alternando scene di prove teatrali filmate da un regista televisivo a momenti di vita privata, catturati con uno stile quasi voyeuristico.
Vite allo specchio
Bulle Ogier offre un'interpretazione straordinaria di Claire, trasmettendo con intensità il dolore e la vulnerabilità di una donna che si sente rifiutata non solo come amante, ma anche come artista. Jean-Pierre Kalfon, nel ruolo di Sébastien, incarna l'uomo distratto e distaccato, incapace di affrontare il naufragio della relazione.
La scelta di Rivette di lavorare con Ogier e Kalfon non fu casuale. Come racconta Kalfon, il regista li notò mentre recitavano nella pièce Les Idoles di Marc'O. Rivette vide in loro non solo attori, ma esseri umani capaci di portare sullo schermo la propria verità emotiva. Durante le riprese, gli attori non “giravano” semplicemente le scene, ma vivevano i personaggi, grazie a un metodo di lavoro che privilegiava l'improvvisazione.
L'amour fou (1969): Bulle Ogier, Jacques Rivette
Amore, gelosia e creazione
Il titolo stesso, L’amour fou, suggerisce l'essenza del film di Rai 3: un amore portato all'estremo, dove la passione si trasforma in ossessione e autodistruzione. Rivette esplora, infatti, il confine sottile tra amore e possesso, tra desiderio e distruzione. Claire rappresenta l'amore totalizzante, incapace di accettare il distacco emotivo di Sébastien, il quale, come nota Kalfon, si mostra sempre più distante, assorbito dal proprio mondo.
La gelosia diventa così uno dei motori narrativi principali. Non è la gelosia classica del tradimento, ma quella più sottile e corrosiva che nasce dalla sensazione di essere messi da parte, di non essere più la priorità dell'altro. Claire, lasciata sola con le proprie insicurezze, si consuma nella sua stessa ossessione, mentre Sébastien si rifugia nel lavoro teatrale.
Parallelamente, il film riflette anche sulla creazione artistica e sul teatro come metafora della vita. Le prove di Andromaque non sono semplici intermezzi narrativi, ma diventano uno specchio delle dinamiche relazionali tra Claire e Sébastien. Il teatro, con le sue regole rigide e il suo linguaggio codificato, si contrappone alla spontaneità caotica della vita reale.
L'arte dell'improvvisazione
Una delle caratteristiche più affascinanti di L’amour fou è il suo stile cinematografico. Jacques Rivette abbandona le convenzioni narrative tradizionali per abbracciare un approccio sperimentale. Come raccontano Kalfon e Ogier, il copione iniziale era composto da appena due pagine. Ogni giorno, le scene venivano discusse, i dialoghi scritti insieme al regista e agli attori, lasciando ampio spazio all'improvvisazione.
Le riprese, durate solo cinque settimane, si svolgevano con un metodo quasi documentaristico. La cinepresa, spesso fissa o in movimento fluido, osserva i personaggi senza intervenire, permettendo agli spettatori di immergersi nelle loro emozioni. Il montaggio, curato dallo stesso Rivette, alterna il bianco e nero del 16 mm per le riprese teatrali e il 35 mm per le scene private, creando un contrasto visivo che sottolinea la frattura tra pubblico e intimo.
La lunghezza del film, più di quattro ore, è una scelta consapevole. Come spiegò Rivette, l'obiettivo era catturare la verità dei personaggi nel tempo, permettendo agli spettatori di entrare nella loro mente. I piani sequenza prolungati, spesso senza tagli evidenti, non sono un esercizio stilistico, ma uno strumento per creare un senso di immedesimazione e intimità.
Un film sempre attuale
A distanza di oltre cinquant'anni, L’amour fou conserva tutta la sua forza e attualità. Le tematiche affrontate – l'amore come forza distruttiva, la solitudine, la lotta tra vita privata e realizzazione artistica – sono universali e senza tempo. Come sottolinea Kalfon, dietro ogni immagine del film si cela un'anima, qualcosa che va oltre la superficie per toccare le corde più profonde dello spettatore.
Il recente restauro ha restituito alla pellicola la sua originaria bellezza visiva e sonora, permettendo alle nuove generazioni di scoprire un capolavoro che sfida le convenzioni e invita alla riflessione. L’amour fou su Rai 3 non è solo un film sulla fine di un amore, ma un viaggio nei recessi più oscuri e sinceri dell’essere umano, un'opera che, come un grande classico, continua a interrogare chi la guarda, senza mai offrire risposte definitive.
In un'epoca in cui il cinema tende sempre più alla rapidità e alla semplificazione, L’amour fou si impone come un'esperienza immersiva e meditativa, ricordandoci che il vero amore, come il vero cinema, non è mai semplice, né breve, ma intenso, complesso e, spesso, devastante.
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