Nuovo giorno nuova corsa. L'1 giugno si inizia dalla seconda parte della selezione del Queer Short, un po' meno convincente della prima.
Isha (2018): scena
Christopher Manning, già passato dal Sicilia Queer con il dimenticabile Jamie, passa prima dal London Film Festival e poi arriva sullo schermo del cinema De Seta con un breve film insignificante e praticamente nullo, che si fa forte di un linguaggio apparentemente essenziale - ma la musica, il primo piano, il chiaroscuro ad effetto: a questi non può rinunciare - e acchiappaconsensi. E con personaggi inesistenti.
Voto: 3,5/10
The Bony Lady (2018): locandina
E anche il secondo corto non è dei più felici. Diretto da Adriana Barbosa e Thiago Zanato, La flaca tenta la strada della metafora che diventa però troppo scoperta, poiché cerca di rileggere il "diverso", il "queer", nella celebrazione rituale della Santa Muerte, e ce lo spiega con un tempestivo commento fuoricampo come se non potessimo arrivarci da soli. Siamo in Sud America, e la protagonista è una transgender che balla per la misteriosa divinità scheletrica durante una festa che organizza per rispettare una sorta di fioretto fatto proprio con la Santa Muerte. Ma non è al sicuro. Non c'è nulla che indichi la presenza di un regista (o di due!) dietro la macchina da presa.
Voto: 4/10
Between Us Two (2017): scena
Between Us Two di Wei Keong Tan sembra mostrare traumi profondi e irraccontabili con la brevità e la delicatezza dell'haiku, con un'animazione molto oscura che fa luce su anfratti segreti dell'anima. Ma la brevità non aiuta a penetrare nella foresta di segni, benché si percepisca a pieno il dramma. Dovrebbe bastare?
Voto: 5/10
Framing Agnes (2018): scena
Il Framing Agnes di Chase Joint e Kristen Schilt si aggiudica il titolo di peggior film del concorso. Per quanto si possano apprezzare le intenzioni di un'operazione metacinamatografica - per arrivare a stupirci ce ne vuole comunque, con questi presupposti - il film appare come un'esibizione logorroica di fumo negli occhi atta a mascherare una pallida pochezza di fondo, che la musica extradiegetica arriva a ricordarci puntualmente. Convinto di dover giocare con le identità, ma senza un reale motivo, il corto di Joint e Schilt soffre di un messaggio troppo ingombrante e didascalico; giusto, sacrosanto, ma dimentico che un film non si gira con le sole buone intenzioni.
Voto: 3/10
Leaking Blue (2018): scena
Assolutamente tra i migliori in concorso, Azul Vazante di Julia Alqueres è un misterioso "capriccio", tragico e sconvolgente, in cui la storia della malattia di una donna trans e della madre che la assiste in quelli che sembrano i suoi ultimi momenti diventa di dominio pubblico, esibito senza privacy nella piazza di una cattedrale gotica, o su una strada, quasi come in una "recita capovolta" alla Bunuel. L'effetto è straniante, tutto affidato a immagini che giocano continuamente con la profondità di campo, a illustrare gli estremi di una "messa in berlina" del dramma intimo di due personaggi.
Voto: 6/10
Whole (2018): scena
Dalla Bulgaria, un corto che parte citando Kieslowski (o Tarkovskij, a scelta libera dello spettatore) e poi diventa una sorta di versione drammatica di Bridget Jones, che ci fa sussultare laddove nel film con la Zellweger avremmo riso: una donna single è invitata a un matrimonio, e vive la festa con un broncio che non finisce più e con un'incapacità totale di adattarsi al mondo che la circonda. Solo le brevi parentesi-sigaretta con una cameriera sembrano ridestarla dal malessere. La cura per la protagonista - gesti, sguardi, riflessi in misteriosi grandissimi specchi - è innegabile; l'intento del corto ha pretese un po' scontate ma per quello che vuole essere può dirsi ben riuscito.
Voto: 5/10
The Drum Tower (2019): scena
Il trash ci salverà. Popo Fan, dalla Cina, racconta il graduale avvicinamento di due anime solitarie, in un mondo un po' incomprensibile un po' folle. Mentre gli sguardi e le curiosità dei due protagonisti crescono di pari passo col minutaggio, i segmenti di follia si fanno sempre più frequenti (una scena che ha a che fare con la pipì di uno dei due protagonisti è un'esilarante goliardia gratuita) così come il citazionismo (Wong Kar-wai!) supera i confini di qualsiasi buon gusto. E per fortuna!
Voto: 5,5/10
The Ballad of Genesis and Lady Jaye (2011): locandina
Conclusi i cortometraggi, si rientra subito in sala per il bel lungometraggio di Marie Losier, The Ballad of Genesis and Mary Jaye, incentrato su quello che fu cantante dei leggendari Throbbling Gristle e poi degli Psychic TV. Benché consapevole dei benifici ottenibili dal suonare musica sperimentale - all'insegna dell'improvvisazione - Genesis P-Orridge trova consolazione soprattutto nel rapporto di amore assoluto con Lady Jaye, musicista e compagna devota, un rapporto talmente estremo da spingersi fino al progetto Pandroginia, un progetto dagli intenti anche artistici per il quale i/le due si sarebbero sottoposti/e a svariati interventi chirurgici per assomigliarsi quanto più possibile. Tra follia e devozione, e l'inconfondibile stile di Marie Losier che tiene d'occhio le vecchie avanguardie statunitensi anni '50-'60 allo scopo di rileggerle in chiave ludica e profana - ma non per questo tenendo a distanza momenti di pura commozione - un breve film che immerge in un universo altro e in un rapporto profondissimo tramite filmati di repertorio, delicate voci fuoricampo e un'attenzione post-produttiva che tantissimi filmmakers contemporanei, amatoriali e non, dovrebbero prendere a esempio.
Voto: 6,5/10
Il corto successivo, firmato Benjamin Crotty, Le Discours d’acceptation glorieux de Nicolas Chauvin, ci fa rifare capolino in un immaginario cinefilo - quello del regista - irriverente e spiritoso, divertente e pieno di riferimenti sempre opportunamente (de)contestualizzati a storia, cinema e icone del contemporaneo. Il "capriccio psicostorico" del corto porta in scena un protagonista superbo e fiero, pansessuale e, soprattutto, convinto di esistere, e inconsapevole di essere soltanto un baluardo etico (sciovinista, appunto) sfruttato da Storia e propaganda. Una creatura di pura immaginazione, il cui ruolo effettivo ha l'inconsistenza del nonsense e del concetto astratto. Il corto è divertentissimo e pieno di attenzione per il ritmo, fatto di stacchi e contrappunti, camera a mano e ambientazioni da teatro dell'assurdo. La montatrice, Ael Dallier Vega, è trasversale a tanto Cinema contemporaneo (Fort Buchanan, Atlantique, Cassandro the Exotico! di Marie Losier), e qui dimostra un'abilità da tenere d'occhio, anche più che in altri esemplari più celebrati - come appunto il film di Mati Diop Premio della Giuria a Cannes 2019.
Voto: 6/10
Diamantino - Il calciatore più forte del mondo (2018): locandina
Delude invece - ma solo il sottoscritto - Diamantino di Gabriel Abrantes, trionfo in vari festival internazionali durante il 2018 e giunto al Sicilia Queer dove, nel 2017, si era dedicata un'intera retrospettiva al regista e alla sua folta schiera di cortometraggi. Il film è una satira - un po' facilona - di tante ossessioni del contemporaneo, dal fanatismo calcistico al fanatismo politico, dai meme sui social all'immigrazione, e vuole risultare spiritoso mettendo in campo una serie di trovate più o meno efficaci - i cagnolini giganti sul campo fanno effettivamente ridere - ripetendole allo sfinimento, dimenticandosi di ritmo di scene e gag, e usando il nonsense come alibi per non spingersi mai oltre il semplice ammiccamento. Alla fine viene tirato in ballo un po' tutto un po' a caso, in una cornice di non-regia mossa fastidiosa e di effetti speciali volutamente pacchiani - ma non per questo affascinanti. Per concludere poi il tutto con un'ultima mezz'ora - quella di troppo rispetto ai corti e i medi del regista - in cui il "dramma" assurdo, con i suoi toni un attimo più trattenuti e sommessi, smette di divertire, e il tentativo in corner di risultare queer (con la deformazione del petto del protagonista) diventa il modo per risultare semplicemente approssimativi su tutto.
Voto: 4,5/10
Seuls les pirates (2018): scena
Decisamente più interessante, Seuls les pirates di Gael Lépingle è un esperimento silenzioso e umile che lavora cautamente con ritmi, personaggi e atmosfere. Al momento risulta la scelta più originale della selezione di questo Sicilia Queer: le anomalie visive, che rendono il dramma sociale una fiaba contemporanea, sono date da prospettive impreviste, musiche perfettamente calibrate e una cura drammatica non indifferente, che recupera la voglia di scoprire personaggi e luoghi. Da confrontare con To Live To Sing di Johnny Ma, alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2019: anche lì, uno smantellamento e un piccolo teatro destinato a scomparire. Ma se nel film di Johnny Ma era un teatro portatore di vecchie tradizioni, qui il teatro è lo sfogo quasi solipsistico del singolo protagonista, la cui voce strozzata da un intervento alla laringe concretizza al meglio la sua incapacità di comunicare col mondo che lo circonda.
Voto: 6/10
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta