C'è molto amore nei cinema di questa settimana: romantico, lovercraftiano, perseguitato, per sé stessi, per degli sconosciuti. Accomodatevi e sceglietene uno. O tutti.
Dopo un avvio scoppiettante e un ritmo capace di sostenere il peso degli eventi per circa metà del film, nella seconda parte si assiste a un totale sfibramento: i registi sembrano perdere la bussola, procedendo a tentoni verso il finale
Il cinema-derma di Together non sfiora i massimi sistemi e rimane in superficie. Ma lo fa più che benino, senza quasi mai essere... superficiale, badando al sodo, "bypassando" la morale e "scontrandosi" con l'etica.
Con leggerezza, tenerezza e lieve distacco Carine Tardieu dirige una pellicola che ci interroga sulla natura dell'amore e dell'attaccamento emotivo. Bruni Tedeschi in un ruolo che le calza a pennello è decisamente convincente
Nascite, morti, sesso, decisioni, tradimenti, accadono tutti e sempre dietro le quinte, sottoterra, negli anfratti, nei doppifondi e dietro alle pareti, nei deserti, nei conventi.
Al placarsi dell’indotta tormenta emotiva, rimane solo un inafferrabile pulviscolo di sensazioni, figlie dell’esposizione alla perpetua reiterazione di uno strazio disadorno dal minimo apporto artistico.
Le città di pianura non sono il Texas, eppure qua e là spunta l’ombra di Travis, Paris,Texas, 35 anni fa, qualche chiletto e capello in più, ma la solitudine è la stessa. Con una differenza.
Ricorrendo alla consueta mescolanza di materiali e alla contaminazione fra passaggi più seri e drammatici e improvvise, brusche, rotture di carattere grottesco Anderson realizza un film che alcuni hanno definito tra i suoi più commerciali ma che rimane incredibilmente coinvolgente
Quasi tre ore di corse sfrenate, lunghi ed esagitati piani sequenza e corse in macchina rocambolesche degne del polso registico di un Michael Mann in stato di grazia rendono Una battaglia dopol'altra un fiume vorticoso che non smette di incantare e avvincere.
Tra gli entusiasmi smodati su Una battaglia dopo l'altra e la tempestività di La voce di Hind Rajab è difficile non discutere in questa settimana di cinema in sala. Nel caso però ci sono un paio di commedie su cui riparare.
Pietrangeli, Cardinale, Tognazzi, Volonté. Ossia Il magnifico cornuto che esplora con gusto satirico e un piglio sarcastico azzeccato e pertinente, la crisi d'identità dell'uomo moderno, nell'epoca del boom economico degli anni '60.
Ethan senza Joel risulta senza dubbio più caricaturale, smargiasso, meno profondo, meno autoriale, ma il sapiente lavoro di regia e di scrittura sui personaggi costituisce un omaggio pertinente e sentito al cinema thriller dei bei tempi d'oro.
Paolo Strippoli, dopo il buon A Classic Horror Story e l'ottimo Piove, ritorna al folk horror con un approccio molto Fulciano e un contesto alla Midsommar di Ari Aster
Il film scava la parola, usa la tecnica del “Less is more” fino all’osso, estremizzata, andando a sostituire ogni immagine della guerra con voci, rumori e suoni. E obbligando lo spettatore a immaginare, attraverso ogni parola.
L’utilizzo delle registrazioni originali farà storcere il naso a chi crede che non si dovesse utilizzare la voce della piccola Hind. Un'obiezione legittima. D’altro canto, chi non voglia (o non possa) rispondere al fuoco con il fuoco, e decida di combattere come può affinché questa atrocità finisca, usa le armi che possiede.
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