Regia di Haifaa Al-Mansour vedi scheda film
Il sogno di Wadjda, una ragazzina di undici anni, è quello di comprare una bicicletta che ha visto in un negozio di giocattoli. Ma le finanze di casa non sono sufficienti e, dettaglio non trascurabile, alle donne è vietato andare in bicicletta. Indomita e pugnace, Wadjda dapprima raccoglie denaro vendendo braccialetti, quindi si iscrive a un concorso di lettura del Corano per riuscire a raggranellare la cifra desiderata.
Racconto di formazione ambientato nell'Arabia Saudita patriarcale, fondamentalista e repressiva, dove le donne vedono il mondo attraverso la feritoia del burqa (quando va bene), il film è anche una curiosa allegoria economico-religiosa: Wadjda piega l'apparato ideologico alla propria logica di scambio - studio i versetti sacri per incassare il premio e comprarmi la bici. Amen. Se sulla carta il film ha le sue ragioni, dal punto di vista realizzativo è indifendibile: il racconto procede per singoli quadri scollegati, la regista Haifaa Al-Mansour (prima donna a girare un film interamente in Arabia Saudita, spesso diretta via walkie-talkie da un furgoncino per evitare guai) sembra non avere idea di dove piazzare la macchina da presa, e la recitazione bovina è ulteriormente penalizzata da un doppiaggio italiano che fa rimpiangere le cassette pirata degli anni Ottanta. E tuttavia, sotto l'andamento statico e la regia (molto) incerta, qualcosa filtra: la dignità lieve e ostinata della protagonista resiste alle imposizioni più assurde senza proclami, ma con una naturalezza che disarma. La sua innocenza tenace fa a brandelli il moralismo ufficiale più di mille pamphlet femministi. E la bicicletta verde, alla fine, è solo un mezzo. Letteralmente.
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