Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film
In principio era il Volto. Un volto che diventa paesaggio interiore, ferita e preghiera. La pelle che trema, un occhio che si spalanca. Nel silenzio del muto Dreyer chiude il mondo al di fuori: resta solo il silenzio stesso, il volto, la luce. La messa in scena si spoglia di ogni orpello, l'immagine si eleva alla sua massima sublimazione. Ogni inquadratura diventa un respiro trattenuto, ogni dettaglio intriso di un'intensità sacra e solenne.
L'ambientazione è scarna, spettrale, l'espressione di un vuoto metafisico. Lo spazio si piega e si frantuma, si deforma come nella coscienza della protagonista. I primi piani travolgono le spettatore: non c'è più distanza, non c'è più cinema. Solo il volto dell'essere umano messo a nudo di fronte al destino.
Un volto trasfigurato, che è allo stesso tempo carne e spirito, innocenza e martirio. I vertiginosi slanci espressivi di Maria Falconetti sembrano oltrepassare la condizione terrena, toccando un'essenza quasi transumana. Intorno ai suoi primi piani il resto gravita come di contorno ad un centro focale: scenografie, corpi, volti scavati e scarni, scelti da Dreyer per la loro fisionomia essenziale, come icone di un affresco arcaico. La protagonista vive un viaggio quasi ascetico nella sua sua solitudine, nella rigorosa separazione da tutto il resto.
Il bianco domina la visione e la messa in scena. Il cielo, la croce, gli uccelli, il bambino, il teschio sul finale. Simboli che si raccolgono e si dissolvono in un singolo respiro sacro. Una tensione mistica e arcana attraversa ogni scena come un fremito costante.
La struttura del film su costruisce come una cerimonia solenne. Una lenta ascensione che alterna momenti di pura contemplazione a scosse improvvise di dolore e rivelazione. Ogni inquadratura è sospesa tra il terreno e il divino, fino a sfociare nel rituale finale, in cui il sacrificio si compie. Qui l'espressività di Dreyer raggiunge il suo vertice: piani sequenza ipnotici, allegorie simboliche, simboli che si moltiplicano come echi di un mistero insondabile.
La passione di Giovanna d'Arco è una parabola di dolore e redenzione, di fragilità e destino. Il volto di una bambina impaurita che è allo stesso tempo quello di un guerriero invincibile guidato da una fede incorruttibile. Una luce che attraversa l'oscurità, un urlo nel silenzio, l'immagine che diventa icona.
Un film assoluto, che non racconta, ma si contempla. Dreyer scolpisce la condizione umana nella sua essenza più pura, innovando profondamente le capacità espressive del cinema nella rappresentazione degli stati d'animo e dei sentimenti umani.
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