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Paura su Manhattan

Regia di Abel Ferrara vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Paura su Manhattan

di hallorann
7 stelle

Se non si conoscessero i “dietro le quinte”, “Paura su Manhattan” sarebbe un thriller sui generis, ben recitato e ben diretto. Ma la coppia Abel Ferrara - Nicholas St. John, dopo gli indipendenti e clamorosi “The driller killer” e “Ms. 45”, caddero nelle grinfie di un produttore hollywoodiano (Bruce Cohn Curtis). La sceneggiatura rivista, scene tagliate, censure, finale addomesticato.

 

Una ripresa notturna di New York dall’alto: luci, neon, ballerine di strip-tease, insegne pubblicitarie invasive, “New York Doll” di Joe Delia cantata da David Johansen accompagna lo strip di Loretta (una indimenticabile Melanie Griffith). Nicky e Matt sono due amici di origini italiane, titolari di un’agenzia di strip teaser.

 

Un maniaco punisce le ballerine di strip dell’agenzia con torture singolari. “L’immonda carne merita gli sfregi, i morsi dell’acciaio purificatore”. Dalle torture il misterioso giovane passa agli omicidi seminando il terrore, la paura e la crisi. Matt Rossi è un ex campione di pugilato, ossessionato dai sensi di colpa perché nel suo ultimo incontro l’avversario morì, ha un rapporto ostile con l’ostinato e ottuso ispettore di polizia che lo vorrebbe incastrare per il suo passato e per le amicizie scottanti. Difatti tra il rivale in affari Goldstein e la protezione di don Carmine, Matt si tormenta senza riuscire a risolvere il suo presente. Prima insieme alla ex fidanzata Loretta c’è un tentativo di riavvicinamento con tanto di frase cult “Ti tiene ancora sveglio il rumore del traffico?”, in seguito nella caccia a vuoto al killer, infine nella resa dei conti.

 

In “Paura su Manhattan” c’è del compiuto e dell’incompiuto. Al primo tassello appartengono gli scambi malinconici tra Matt e Loretta, entrambi (ri)cadono nelle loro nevrosi. Matt e Nicky sono due romantici, legati da una solida amicizia in cui “i problemi di conduzione dell’agenzia”, ricordano “il sodalizio di vita e professione tra Ferrara e St. John”. Il razzismo dell’ispettore di colore contro gli italoamericani è un elemento inedito e la comunità rappresentata – tranne che nella figura caricata di Mike (Michael V. Gazzo) – è lontana da facili stereotipi. Interessante e ben curata la figura del boss di quartiere don Carmine (bravo Rossano Brazzi): un legame che origina alla gioventù di Matteo. L’incompiuto sta nella figura del serial-killer di cui il produttore tolse i riferimenti letterari e filosofici portati da St. John: “Il protagonista è un killer, ma è anche il fiore della filosofia; nella sua mentalità crede di poter scavalcare la legge perché è forte e perfetto (St. John)”. I testi che apparivano in casa del maniaco erano: “Delitto e castigo” di Dostoevskij per “esprimere la crisi dell’umanesimo e della morale umanistica”. “L’origine della specie” di Darwin per “richiamare l’evoluzionismo e la selezione naturale”. “Così parlo Zarathustra” di Nice per “il potente messaggio di sovversione morale”. Di questa figura rimaneggiata, tagliata di suggestioni e motivazioni, restano alcune frasi che annota su un diario intitolato “Fear City” quali il raggiungimento della purezza con la morte violenta. I significati e significanti di sacro e profano restano appesi genericamente nella rappresentazione della città, fonte di corruzione morale con la vendita facile dei corpi e la sete di denaro. Senza donnine discinte non ci sono introiti per l’indotto di “Gomorra”. “I riferimenti religiosi e paternalistici della tradizione italoamericana si mantengono in un contesto di aggressività e corruzione, la metropoli violenta in quanto libidica”. Bravissimi tutti gli interpreti, con in testa il dimenticato Tom Berenger.  

 

locandina

Paura su Manhattan (1984): locandina

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