Regia di F.W. Murnau vedi scheda film
Un film di sconvolgente modernità espressiva. Dopo aver visto un'opera come questa, viene quasi la tentazione di ridimensionare tutto l'espressionismo cinematografico che ha fatto seguito a Murnau, anche e soprattutto quello americano, da Welles a Coppola. Basterebbe la prima sequenza: la hall di un lussuoso albergo, ripresa dall'interno di un ascensore, in movimento discendente, e poi l'affannoso lavoro del portiere, scrutato attraverso le porte scorrevoli, sotto una pioggia torrenziale...Antonioni, mi pare, una volta disse dei Sette Samurai di Kurosawa: "Questo film reca in ogni sua immagine l'impronta di un genio". Ecco, a me verrebbe da dire la stessa cosa di questo capolavoro di Murnau, superbo "inventore di forme cinematografiche". La padronanza del mezzo si manifesta attraverso un utilizzo sensazionale, ma mai virtuosistico, di espedienti come il carrello, la profondità di campo, gli specchi e i materiali traslucidi (come in "Soffio" di Kim Ki-Duk), il dolly, la mobilità e il dinamismo della mdp più che del montaggio, gli esterni visti dagli interni (e viceversa), la soggettiva e ovviamente la luce, strumento cardine dell'estetica espressionista. L'aspetto più significativo di questa pellicola, al di là di alcune lentezze, di qualche lacuna di sceneggiatura e di un epilogo discutibile, è il fatto che Murnau abbia saputo adattare brillantemente il linguaggio dell'espressionismo ad un soggetto di matrice realista, sociale, di costume e non fantastico, mitologico od orrorifico. Ecco perchè preferisco L'Ultima Risata al blasonato Nosferatu. Con questo film, l'espressionismo diventa cinema al 100%, rendendosi indipendente tanto dalle altre arti quanto dalla dimensione fantastica, spianando la strada quindi alla sua applicazione alle materie narrative più disparate, dal western di Ford allo psicodramma esistenzialista di Bergman. Nell'Ultima Risata, si riflette su temi come il culto dello status e del denaro, l'umiliazione, la degradazione, la vergogna, la doppia morale borghese: il rispettabile portiere si trasforma in ladro per salvare le apparenze. Fra le infinite sequenze da mandare a memoria, citerei quella onirica, ai limiti del surrealismo, in cui il protagonista ubriaco sogna di tenere in piedi un baule con un solo dito, fra l'ammirazione di parenti e vicini di casa, metafora della niceana volontà di potenza oppure, più prosaicamente, della ridicola vanità della piccola borghesia: qui la mdp si muove traballante, su di un carrello, entrando a gamba tesa nella scena, producendo nello spettatore un effetto di coinvolgimento, "tridimensionalizzando" lo schermo ed imponendo un ritmo vertiginoso ed inebriante. Mi pare evidente, a questo punto, che non siano Welles e Coppola da ridimensionare, quanto Murnau da elogiare senza tentennamenti.
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