Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
Con “Marnie” Alfred Hitchcock prosegue il proprio tortuoso sodalizio artistico con Tippi Hedren - dopo il precedente “Gli uccelli” - intrappolandola in un personaggio dalla labirintica identità, frammentata in cocci di profonda dissonanza emotiva la cui ricomposizione è affidata ad un thriller in cui la tensione psicologica prevale nettamente sulle consuete forme di suspense, tracciando un percorso narrativo che indaga l’origine dei traumi, la fragilità della psiche umana e un inevitabile senso di inquietudine esistenziale.
In apertura sono sufficienti pochi, precisi, gesti registici per suggerire le fratture interiori della protagonista e gettare le basi per un solido dipanamento della storia. Hedren, nel ruolo di Marnie, viene descritta per mezzo di inquadrature che la isolano dal mondo circostante, accentuando un senso di alienazione e di purpurea minaccia incombente elaborati dall’attrice con algida precisione, senza tuttavia ricevere il miglior supporto da uno Sean Connery eccessivamente compiaciuto, tanto utile al marketing – sono gli anni del suo 007 - quanto indubbiamente meno convincente rispetto ad altri partner maschili precedentemente diretti dal regista.
Nella parte centrale, con il progressivo svelamento delle piccole e grandi menzogne della protagonista, il ritmo comincia a mostrare segni di rarefazione, aprendo la strada a dinamiche di coppia reiterative nel proprio unilateralismo, in cui le interazioni tra i due personaggi sono più facilmente leggibili quali teorici esercizi di spicciola psicologia che come concreta evoluzione del rapporto tra di essi, lasciando trasparire un senso di distacco empatico non indifferente.
Non giova alla resa complessiva anche la dogmatica colonna sonora di Bernard Herrmann che, seppur impeccabile dal punto di vista tecnico, contribuisce ad un risultato eccessivamente gravoso, di rigido accademismo lontano dall’aderenza a un racconto invece ben calato nei tempi sessantiani, se non addirittura in anticipo su di questi ultimi.
Il film riconquista l’iniziale vigore avvicendandosi al finale, quando tutte le linee narrative convergono in restituzione di una bilanciata chiave interpretativa dei conflitti, i cui esiti confermano le premesse di una delicata declinazione intimista, indipendente dalla spettacolarizzazione a tutti i costi.
“Marnie” rappresenta una significativa pagina dell’enciclopedica carriera di Alfred Hitchcock, a testimonianza della sua capacità di modulare le storie su frequenze differenti, di miscelare i generi pur restando perfettamente riconoscibile nella propria poetica, collocandosi a metà strada tra l'iniziale disappunto ricevuto della critica e l'eccessiva rivalutazione che ne è seguita successivamente.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta