Regia di David Lean vedi scheda film
Attori magnifici, una fotografia che ha del miracoloso in quelle condizioni, una musica memorabile. E la Storia, una vicenda quasi incredibile ma vera. Cos'altro volete dal cinema?
Tutti gli uomini sognano, ma non allo stesso modo. Quelli che di notte sognano nei polverosi angoli della propria mente, scoprono, di giorno, che era solo vanità; ma quelli che sognano di giorno sono uomini pericolosi, perché può darsi che recitino il loro sogno a occhi aperti, per attuarlo (T.E. Lawrence, I sette pilastri della saggezza).
Era uno strano uomo, fin da ragazzo. Un romantico, convinto che “niente è scritto”, niente è impossibile, lo decidiamo noi cosa saremo. Lui ha deciso cosa fare della sua vita, e nemmeno la divisa da ufficiale riesce a ingabbiarlo: incaricato dagli alti comandi di monitorare la situazione nella penisola araba, blandamente in rivolta contro l’agonizzante impero turco, trasforma il suo incarico in una missione personale, avvallata fra dubbi e ambiguità dai suoi superiori. Lawrence vuole trasformate il volgo disperso degli arabi (tribù pronte ad uccidere piuttosto che offrire un sorso d’acqua del proprio pozzo) in un popolo consapevole di esserlo, e di poter diventare uno Stato. Contro gli interessi della sua Inghilterra, del paese che sta servendo come ufficiale? Sì, se necessario. Perchè lui non è un soldato di professione: laureato in storia ad Oxford, nonostante i suoi 28 anni ha una solida conoscenza della lingua e cultura araba.
La prima ora del film, dalla quiete del Cairo al contatto con le tribù, scorre fra paesaggi terribili e maestosi (quella piramide di pietra nella prima scena desertica…), esaltati dalla colonna sonora di Maurice Jarre e soprattutto dalla fotografia di Freddy Young, che ha fatto miracoli per effettuare le riprese in quelle condizioni, nel deserto giordano e in quello spagnolo (sì, avete letto bene); intanto il personaggio prende forma, ma non è ancora il mito, non è El Orens. Il momento di svolta è il colloquio nella tenda fra Feisal, Alì, il colonnello Brighton e Lawrence: il giovane tenente dovrebbe stare agli ordini e ascoltare in silenzio, invece interviene dimostrando di conoscere l’Islam almeno quanto la sua professione di militare.
Non ha importanza quanto ci sia di vero o di romanzato nella sceneggiatura: i più pazienti potranno approfondire leggendo il ponderoso libro autobiografico del nostro, I sette pilastri della saggezza. Quella che David Lean ci dà nel suo capolavoro è la verità sostanziale, quella che può toccare l’intuizione di un’artista, togliendo la polvere dalle pagine dei libri di storia.
Ho rivisto il film dopo tanti anni, stavolta nella versione integrale. La pellicola fu restaurata e arricchita con scene inizialmente scartate per esigenze commerciali, in due tappe successive, nel 1989 (ad opera dello stesso Lean, con l’aiuto dei devoti Scorsese e Spielberg), e nel 2012. Se la vedrete anche voi, noterete facilmente i passaggi doppiati ex novo. Ho delle perplessità sull’utilità di presentare versioni così estese, che rischiano di appesantire una trama già abbastanza impegnativa da dipanare per chi non ha vissuto gli anni della Grande Guerra (tutti noi), o non li ha studiati abbastanza. Robert Bolt ha avuto un compito difficile, scrivendo un plot che doveva tenere insieme una verità storica già complessa di suo, la descrizione di una cultura lontana, e indagare la vita interiore di un uomo impossibile. Ne esce un film che non poteva essere lineare, ma piuttosto impetuoso, come una carica di cavalleria dei beduini.
Inutile fare l’elenco delle scene memorabili, parliamo di un’opera che è nella memoria di tutti. Vorrei sottolineare solo il modo in cui è stato trattato il controverso episodio di Dar’a. Lawrence e Alì si introducono nella città, in modo piuttosto temerario, per tentare di sollevare la popolazione contro la guarnigione turca. Lawrence, con il suo aspetto europeo, attira l’attenzione di una pattuglia, e viene condotto alla presenza del comandante, un depravato (Josè Ferrer, notevole). Non sappiamo con certezza cosa avvenne, ma tutto fa pensare che venne violentato. Immagino come avrebbe trattato l’accaduto un regista di oggi, senza i vincoli della censura. Lean non poteva, probabilmente nemmeno voleva, proporre una simile scena al pubblico (e ai produttori) del tempo, ma riesce a suggerire attraverso il gioco degli sguardi, e poche battute scambiate fra lui e il bey, far capire che la sua tortura non si è limitata alle frustate. Un episodio ambiguo in un personaggio enigmatico (Giovanni Grazzini ai tempi ironizzava, un po’ scioccamente secondo me: quell’attore pensa di essere Amleto), reso in modo insuperabile da Peter O’Toole, l’astro nascente del teatro che nemmeno voleva interpretare quel film… Sono sicuro che le prime scelte (Albert Finney, Marlon Brando) sarebbero state all’altezza, ma quegli incredibili occhi azzurri, quella bellezza delicata che nasconde una volontà di ferro, fanno della sua una presenza scenica diversa da tutte le altre. E anche i suoi compagni di avventura sono dei magnifici attori: lo sconosciuto divo mediorientale Omar Sharif tratteggia Alì (personaggio funzionale alla storia ma perlopiù fittizio) in modo essenziale, con gestualità misurata, come un giovane orgoglioso e lucido, duro ma di grande umanità. Non credo abbia mai più trovato a Hollywood un regista capace di far emergere così il suo talento. Anthony Quinn (il capotribù Auda), all’opposto, dipinge un personaggio istrionico, ma qui siamo oltre i suoi consueti travestimenti rustici: anche lui, come O’Toole, vive il suo barbaro personaggio con un’aderenza che ho visto raramente (si narra che, sul set, gli anziani che avevano conosciuto Auda siano rimasti impressionati). Alec Guinness gioca in casa con il suo Feisal, il futuro re dell’Iraq, sottile, elegante, ma soprattutto spregiudicato e cinico come troppi politici.
E’ impossibile rivedere oggi questo film senza pensare ai guasti prodotti dal colonialismo europeo, a quel “grande gioco” che nel 1918 ha spartito le reliquie dell’impero ottomano, senza intelligenza politica nè rispetto per i popoli, in spregio ai principi proclamati dal presidente Wilson, e ai desideri di Lawrence. Freya Stark, altra grande amante del deserto, forse più lucida di Lawrence – che pure ammirava - ammoniva su quali antichi demoni avrebbe potuto risvegliare quella cinica geografia del Medioriente. Non sapremo mai cosa sarebbe accaduto se i suoi piani si fossero realizzati, qualora la nazione araba fosse nata davvero indipendente, ma non credo che avremmo visto qualcosa di peggio del corso degli eventi cui abbiamo assistito nell’ultimo secolo, e continuiamo a vedere. Questa pietra miliare del cinema è lì a ricordarci cosa poteva essere e non è stato, e cosa può fare la volontà di un uomo. I suoi ideali non si sono veramente attuati, la sua vita è naufragata nel disagio psichico, nelle difficoltà economiche, spezzata a 47 anni da un incidente in motocicletta un po’ oscuro. Ma per milioni di persone lui avrà sempre trent’anni, icona di un’umanità irragionevole, sicuramente migliore di quella che governa le sorti del mondo.
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