Regia di Andrea Porporati vedi scheda film
Gran bel film di mafia. Coinvolgente. Storicamente rivelatore.
Porporati scrive una sceneggiatura che contiene tanti brani reali della mafia siciliana:
- Il mondo alla rovescia, per i disvalori che diventano apparentemente valori: «Tra uomini d'onore, siamo una stessa famiglia, tutto è alla luce del sole». Assieme alla inaccettabilità anticostituzionale dell’illegalità (e, soprattutto, della antisocialità), scientemente e ferreamente perseguita, fa specie che in quel sottobosco di reale, immane potere, tutto sia chiarissimo e condiviso
- La necessità di uccidere senza ritegno
- La superstizione religiosa
- La chiarezza del penoso rito dell’affiliazione mafiosa, pratica massonica, e perciò occulta, che raramente come qui è stata mostrata a sufficienza
- Il terribile maschilismo, in generale meridionale: qui mostrato come stupro (purtroppo avvenuto miriadi di volte, in nome del suddetto maschilismo), ma anche come matrimonio combinato, per una ragazza mafiosa già incinta (la quale in questo caso non decide nulla, stretta fra le convenzioni scelte dai maschi della associazione a delinquere)
- La spregiudicatezza del potere dei mafiosi, che anche al carcere spadroneggiano, e impongono ai tutori della legge i propri comodi, con scene tipiche della realtà “Ucciardone grand hotel”
- Il controllo che i mafiosi fanno, nel complesso tranquillamente, della politica e, dunque, della giustizia: al giudice antimafia, ben interpretato da Gifuni, possono dire con disinvoltura: «lo decidono loro quanto puoi campare. Non ci sei più, sei morto».
- La classica menzogne che i mafiosi fanno il bene delle popolazioni su cui realmente (ma solo nel silenzio) comandano: «Voi ci chiedete una condanna a morte: noi non siamo assassini, noi esercitiamo giustizia». Il tutto è ben esemplificato dall’episodio dei ragazzi nel pozzo: il problema è che costoro vanno puniti dai capimafia in quanto rubano senza autorizzazione: non per il fatto che rubano!
- La tipica condanna a morte per chi smette (anche per pochissimo!) di adeguarsi agli obblighi delinquenziali di Cosa Nostra. Lo Cascio sa di essere, a un certo punto, «un morto che cammina»
Belli sono poi tanti aspetti:
- La suspence
- La musica
- La recitazione di pressoché tutti, in particolare di Lo Cascio.
- La storia d’amore che si mescola all’amicizia giovanile, e la contamina: il giudice è rivale in amore ma valorosamente non smette di essere amico del suo rivale, dopo.
- Commuovente, in quanto affatto irrealistica, la medesima la storia d'amore, incontrollabile ma controllabile insieme.
«Era questa la vita che volevi»? Gli può dire la sua “amante storica”, dopo un amplesso impensabile dopo tante peripezie, ma desideratissimo.
E lui, per non morire e non mettere a repentaglio la moglie che gli è stata imposta e i suoi figli, non può fare altro che piangere, scappato com'è da tutta la sua vita.
O quantomeno, scappato da tutto il suo schiacciante, impressionante, orribile passato.
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