Regia di Omar Naim vedi scheda film
Una pellicola che si interroga sul valore del ricordo in contrasto con una vita registrata oggettivamente senza filtri e senza la possibilità di cambiare la realtà. Ma qual è la versione che vogliamo ricordare? E quale quella che vogliamo valorizzare?
Qual è la nostra capacità di ricordare e quanto modifichiamo i fatti con un'elaborazione personale? The final cut ci mette davanti a queste domande e nell'apice della questione etica ci ricorda quanto i ricordi sono qualcosa di intimo e personale, qualcosa che appartiene solo a noi e a chi si relaziona con noi nel nostro vissuto.
Come il finale di Philadelphia che ricorda in un montaggio finale il valore di una vita, anche in the final cut tutto sembra muoversi nella direzione del memoriale finale, l'ultimo atto di una vita vissuta. Se veramente registrassimo ogni secondo della nostra vita saremmo come persone in un Truman Show, come può influenzare la consapevolezza che ogni cosa vissuta possa essere registrata oggettivamente? E che ne sarebbe del Big Fish che ognuno di noi racconta al mondo. Dove finirebbe l'epica del ricordo, dell'esperienza, e quanto tornerebbero a tormentarci gli errori irrimediabili che facciamo inevitabilmente?
The final cut pone sicuramente domande interessanti e il montaggio è chiaramente di ottimo livello, mentre la regia ci racconta per immagini il dubbio etico e il tormento dell'esistenza umana.
Tuttavia la sceneggiatura non mi ha convinto,il finale lo trovo deludente, è un finale in cui vince una morale e che sembra volere dare una risposta definitiva su qualcosa che difficilmente possa averla.
Sicuramente in un mondo dove l'immagine ci viene rubata e consumata senza soluzione di continuità, dove accedere all'intimità diventa un'occasione di vendetta o di mancanza di rispetto, l'etica di una registrazione continua è senza dubbio da biasimare, tuttavia anche io come il protagonista tendo a credere che la nostra umanità abbia diritto a un perdono, anche se doloroso, anche se agli occhi umani immorale e inaccettabile.
Credo che quindi i semplici filmati che giriamo, che ci ritraggono nei momenti che valeva la pena vedere e ricordare restino il patrimonio migliore che possiamo costruire, riconoscendo il valore del ricordo, della memoria e della sua imperfezione.
Alla fine il nostro valore umano non è in quello che si è fatto, ma nel modello che abbiamo rappresentato e scelto e nella compartecipazione alla vita che abbiamo condiviso con chi era in nostra compagnia: e questo non ha bisogno di immagini, ma di una semplice intimità.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta