Regia di Elia Kazan vedi scheda film
Se ci fosse stata l’esigenza di determinare la natura eclettica di un attore come Kirk Douglas, con Il compromesso, ancora una volta l’allora 53enne divo di Hollywood si cimenta in una prova incredibilmente coraggiosa. Diretto da Elia Kazan, alla sua terz’ultima opera, tratta peraltro da un suo romanzo, il film si pone perfettamente in linea con la crisi identitaria dell’America post ’68. Se da un lato la critica della società mossa in quei tempi è spesso invecchiata, mi vengono alla mente Easy Rider, Cinque pezzi facili, Lo spaventapasseri, tutti film che hanno a fattor comune dei personaggi che non si sentono in linea con le aspettative più ordinarie della società di cui fanno parte, ciò che stupisce qui è la novità nel far affermare questo disorientamento non ai “giovani contestatori” (che avrebbero trovato un volto tra gli emergenti Jack Nicholson, Dustin Hoffmann, Al Pacino o Robert De Niro) quanto a qualcuno che si è affermato e si è realizzato attraverso i dettami più classici del sogno americano (casa, famiglia, denaro). Arriviamo dunque al personaggio di Kirk Douglas, Eddie Anderson, di origine greca è riuscito a sfondare: decisamente benestante (ha un incarico dirigenziale nel settore pubblicitario), con una casa lussuosa, un parco auto invidiabile ed una moglie, lo vediamo però uscire di casa sulla sua Alfa Romeo decapottabile ed eccolo lasciare le mani dal volante, lasciando che l’auto finisca insieme a lui sotto le ruote di un camion. Miracolosamente ne esce solo con qualche ammaccatura ma abbiamo modo di rivivere quanto lo ha portato a compiere quel gesto. L’incontro con una donna ben più giovane (la bellissima Faye Dunaway nel ruolo di Gwen) lo trascina verso delle esigenze che fanno detonare completamente gli equilibri su cui era costruita la sua vita, da quella familiare a quella lavorativa. Difatti lo vediamo improvvisamente ribellarsi a tutti i dettami della convivenza ordinaria: dopo una pausa al lavoro sconfessa gli sponsor che promuovono le sigarette oltre che farsi scoprire platealmente dalla moglie con delle foto, dal contenuto inequivocabile, insieme all’amante. La scoperta simultanea circa il padre gravemente malato è un ulteriore modo per Eddie di confrontarsi oltre che col genitore anche con sé stesso e la sua evoluzione. In un turbinio di esplosioni di rabbia e di riconciliazioni vediamo appunto il protagonista che crolla sotto i colpi di una dimensione in cui sembra non trovare più il giusto spazio: i tentativi di riconciliazione da parte della moglie si vanificano ancor prima di nascere (del resto non riuscirà mai ad interrompere la relazione con l’amante), il rapporto con il padre, ormai mentalmente infermo, si basa proprio su quei concetti (successo e soldi, ossia il sogno americano di ogni immigrato) che lui va ripudiando. In un finale che lascia aperte varie chiavi di lettura, dalla volontà del protagonista di estraniarsi dal mondo, alla possibilità, soprattutto grazie all’affettuoso supporto di Gwen, che cerca di tutelarlo in più occasioni nella casa di cura dove si trova ricoverato, vediamo un mondo attorno a Eddie ormai sempre più votato al materialismo ed all’opportunismo, come la figura del viscido legale che gli fa firmare una rinuncia ai suoi beni a favore della moglie, sulla quale nutre degli interessi personali. In tutto questo Kazan non lesina critiche al consumismo più esasperato, è evidente la satira agli spot pubblicitari (di cui il protagonista è spesso autore) che si diffondono dalla tv che campeggia in mezzo al giardino della sua lussuosa villa e che viene ascoltata come un oracolo già a colazione, così come all’istituzione matrimoniale ormai legata più a vincoli appartenenza sociale o di convenzione (istituzione peraltro già messa in discussione in un film sempre interpretato dallo stesso Douglas, Noi due sconosciuti). Ancora da sottolineare il coraggio della prova di Kirk Douglas, che ritrae un personaggio sofferto, incompiuto, spesso sgradevole e anche pietoso, in un ruolo che il regista avrebbe voluto affidare a Marlon Brando. Soprattutto per un attore della sua epoca fa specie come Douglas, come riportò in un’intervista a proposito di uno “scambio di vedute” con John Wayne, fosse davvero portato ad un approccio eclettico della figura attoriale che, anche in opere non del tutto compiute, è da dirsi che comunque Il compromesso non ha la struttura per essere annoverato tra i capolavori, fanno risaltare delle sequenze in modo superlativo.
Ps. Il riferimento allo scambio di vedute con John Wayne venne spiegato in un’intervista da parte di Douglas dopo che Wayne si disse stupito dall’interpretazione che Douglas diede del personaggio di Van Gogh, passando quindi da ruoli più machisti ad un personaggio fragile. Per John Wayne si poneva davanti a tutto l’esigenza di dare un punto di riferimento al pubblico, difatti. salvo poche eccezioni, difficilmente nella sua filmografia sconfinò dall’eroe integerrimo e onesto; diversamente Douglas gli spiegò che proprio il ruolo di attore doveva dare spazio a molteplici personaggi.
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