Regia di Robert Bresson vedi scheda film
"Le journal d'un cure' de campagne" è il terzo lungometraggio diretto da Robert Bresson, tratto da un celebre romanzo dello scrittore cattolico Georges Bernanos. Il film racconta le vicende quotidiane di un giovane sacerdote, il curato di Ambricourt, e della sua battaglia personale per trasmettere una fede autentica e partecipata ai propri parrocchiani, fino a quando dovrà arrendersi a causa di un tumore che lo consuma, anche se concluderà la sua esistenza terrena con le parole "Che importa, Tutto è Grazia". Non posso confrontarlo con il romanzo, ma credo che si tratti del primo capolavoro bressoniano, anche se non ancora del suo film più grande. Il regista da questo film in poi sceglie un'estetica austera e depurata, che ribattezzerà con il nome "Cinematografo", e che lo porta a scegliere attori non professionisti che devono recitare in maniera spoglia e senza alcuna tentazione istrionica: qui è riuscito a ricavare una performance appropriatamente intensa dal giovane Claude Laydu, che in seguito avrà qualche altra esperienza di recitazione, a differenza della quasi totalità dei suoi "modelli". A tratti un po' letterario nei dialoghi, il film segue in maniera fedele il romanzo di Bernanos, costruisce una dolorosa progressione drammaturgica per il curato, lo mette di fronte al male del mondo e alla sofferenza personale di fronte a certi fallimenti, ma abbraccia ancora una visione fideistica, che nelle ultime opere del regista svanirà. Era un film molto amato da un giovane Ingmar Bergman, che si ispirerà ad esso quando dirigerà "Luci d'inverno". È un film rigoroso, scandito in sequenze girate con linguaggio sobrio, senza compiacimenti formalisti: Bresson mette al centro dell'opera i tormenti dell'anima, l'ansia per la salvezza, e lo fa con assoluta sincerità, ottenendo facilmente la più profonda adesione dello spettatore, tranne forse in qualche confronto un po' più esteriore come quello con la Contessa. Non ha la genialità rivoluzionaria di opere come "Pickpocket" o "Un condannato a morte è fuggito", tuttavia resta un film fortemente meditato, una pellicola di transizione che segnerà una svolta fondamentale per il regista, ed è un film che regge ancora molto bene in termini di visibilità a tanti anni di distanza.
Voto 9/10
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