Regia di Carlos Reygadas vedi scheda film
Opera atipica, inclassificabile questa di Reygadas, oggetto misterioso del cinema d’autore mondiale contemporaneo. Colpisce anzitutto per l’estetica: immagini sgranate, opache, poco “attraenti”, che lasciano presagire uno sguardo sciatto, casuale, minimalista. E invece, l’occhio dell’autore messicano è sempre pronto a lanciare lo sguardo oltre l’orizzonte, immergendosi nell’impervia natura latino-americana, attraverso panoramiche vicine all’anelito metafisico di Tarkovskij. Ma il panteismo del maestro russo, per quanto evocato da intensi inserti musicali, viene ribaltato in favore di un materialismo ineluttabile. Le ricorrenti (false) soggettive con cui il protagonista, attraverso Reygadas, perlustra la realtà che lo circonda, cercando un segnale della presenza divina, incappano inesorabilmente nel silenzio di una natura inerte, nell’aridità di un genere umano corrotto, nel vuoto di una comunicazione impossibile. Da questa prospettiva, sarebbe opportuno scomodare Antonioni più che Tarkovskij. Il lavorio faticoso di un’umile videocamera, che parte da immagini spoglie per giungere ad inquadrature di pasoliniana solennità, è senz’altro il lascito più significativo di quest’opera, dal punto di vista stilistico. Rappresenta un atto di fiducia estremo nello sguardo, nella cinepresa, nel cinema: quel “senso della vita” che l’occhio (e il cuore) del protagonista non riesce a ritrovare da nessuna parte, nemmeno in un improbabile congresso carnale con una vecchia signora, viene colto e posto in immagini espressive dall’occhio (e dal cuore) del regista. “Japon” appartiene quindi al novero dei film contraddistinti dal pessimismo radicale, ma illuminati sporadicamente da invenzioni figurative capaci di porsi esse stesse come valore, scongiurando il nichilismo assoluto. Il piano-sequenza conclusivo, vertiginoso, disperato, ossessivo, insostenibile, disincantato, shockante, allegorico fa storia a sé: è semplicemente una delle più belle pagine di cinema dello scorso decennio.
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Ciao @ed wood. Reygadas è, tra gli autori più recenti - ovvero, quelli che hanno esordito negli anni '00 - il mio preferito in assoluto. Questo non vuol dire che mi senta un esperto del suo cinema. Anzi, mi sto tutt'ora interrogando sui suoi film, sul suo cinema, che è tutt'altro che esaurito o concluso. I discorsi sui suoi film, così sterminati, sublimi, infiniti, passionali (e potrei andare avanti ancora), sono veramente molteplici, e mi fa piacere leggere dei bei commenti (come il tuo) ad un film difficile come Japòn. I film di Reygadas si prestano alla facile derisione [vedi l'opinione che ti ha preceduto, e che non commento nemmeno], perché assolutamente onesti, disarmati (e non disarmanti). Ancor più di Japòn, il secondo, meraviglioso Battaglia nel cielo. Se posso fare un appunto sulla tua opinione [che mi piace molto] è sullo scegliere Antonioni anziché Tarkovskij. Per me, invece, è proprio il regista russo, in Japòn, ad essere il "faro" per il messicano - come sarà Dreyer, nel capolavoro Luz silenciosa -, e non solo da un punto di vista formale. Come è già stato scritto da penne di gran lunga più autorevoli della mia, quello di Reygadas è un percorso di cinema spiriturale, "trascendentale" - come quello di Tarkovskij -, ma che passa necessariamente "dalla carne", dalla sessualità... Il tuo commento sull'occhio cinematografico come unica forza sublime ancora esistente - per il regista - è davvero interessante, soprattutto se rapportato con i celebri intro e outro di Luz silenciosa, dove, davvero, la macchina da presa [come nel finale di Japòn] diventa l'unica e sola (sublime) protagonista.
grazie ATAP...purtroppo ho visto solo questo di Reygadas...so che gli altri hanno diviso la critica...quello che mi piace di questo autore è che ha modelli autoriali di alto livello: Tarkovskij, Rossellini, Dreyer, Kiarostami etc...E' uno che pensa in grande...Japon mi pare un buon risultato...vedremo gli altri...a presto! :-)
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