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Trama

Girato nel cuore della guerra in Ucraina, il film Militantropos è un ritratto corale e sensibile dell’essere umano travolto dal conflitto. Senza seguire una trama tradizionale né un protagonista fisso, il film si costruisce attraverso frammenti di vite: civili costretti a fuggire, soldati che si sono arruolati per necessità o convinzione, volontari, bambini, madri, anziani. L’approccio è diretto, immersivo, spesso istintivo: le registe e il regista seguono chi incontrano sul campo, guidati dall’empatia e dal desiderio di comprendere come si sopravvive e si resta umani dentro l’orrore.

Attraverso immagini, suoni e testi, il film Militantropos racconta la trasformazione individuale e collettiva che la guerra imprime nei corpi, nei volti e nelle coscienze. La macchina da presa si avvicina, osserva, registra. E nel caos delle rovine, tra piogge, incendi, canti, abbracci e silenzi, si fa spazio l’intimità. La natura, onnipresente, diventa testimone e contrappunto. La guerra diventa una condizione esistenziale: non solo qualcosa che si subisce, ma uno stato che modifica la percezione del mondo, dell’altro, di sé.

Presentato alla Quinzaine 2025, il film Militantropos nasce da una necessità urgente: filmare l’invasione russa non come cronaca, ma come esperienza vissuta. Per il collettivo TABOR (Yelizaveta Smith, Alina Gorlova e Simon Mozgovyi) realizzare il film ha significato attraversare la guerra da dentro, senza mediazioni. Ogni immagine, ogni suono, ogni volto racconta non solo ciò che accade, ma cosa provoca. La telecamera non cerca lo scoop, ma la verità del momento, anche quando è ambigua, sfocata o scomoda.

Il documentario si è costruito nel tempo, lungo due anni e mezzo di riprese, viaggiando tra fronti, villaggi occupati, centri di evacuazione, foreste e città ferite. Le registe e il regista non hanno imposto una narrazione, ma l’hanno fatta emergere, montando visioni, parole e sensazioni. Il risultato è una partitura visiva e sonora in tre atti: il caos, l’adattamento, la trasformazione.

Il titolo, un neologismo che fonde “militante” e “antropos”, definisce l’identità ibrida dell’essere umano in guerra: né solo vittima né puro eroe, ma individuo esposto, mutato, fragile e insieme resistente. In questa zona di confine tra vita e morte, tra politica e intimità, Militantropos cerca il senso (o almeno una forma di comprensione) di ciò che significa restare vivi mentre tutto crolla.

Il film Militantropos è un’esplorazione profonda dell’esperienza umana in tempo di guerra. L’opera interroga la trasformazione individuale e collettiva che avviene quando il conflitto penetra nelle vite ordinarie: persone comuni diventano soldati, villaggi diventano campi di battaglia, l’identità personale si sgretola sotto la pressione dell’orrore e della sopravvivenza. Ma non è solo il corpo a mutare: è lo sguardo, il linguaggio, la relazione con l’altro e con la natura. Il film si chiede cosa resti dell’essere umano quando la guerra diventa un fatto quotidiano, e se esista ancora uno spazio per la compassione, l’ascolto e la cura.

Senza seguire una narrazione lineare o un protagonista fisso, Militantropos costruisce un ritratto collettivo, fluido, dove la realtà si mescola alla percezione soggettiva e alla riflessione filosofica. Il paesaggio, gli elementi naturali, il silenzio o i rumori improvvisi assumono un ruolo centrale: non fanno da sfondo, ma diventano testimoni e partecipanti. La guerra non è qui solo un evento politico o militare, ma un’esperienza di limite, un confronto continuo con la perdita, il non-senso, la possibilità di sparire. Tuttavia, ciò che emerge è anche la forza del legame umano, la possibilità di scelta - anche quando tutto sembra negarla - e il desiderio ostinato di continuare a esistere, a raccontare, a costruire senso dove tutto crolla.

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