Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film
Europa 51 fa parte, insieme a Stromboli e Viaggio in Italia, di una trilogia di film diretti da Roberto Rossellini e interpretati tutti da Ingrid Bergman come protagonista, che da alcuni è stata definita la Trilogia della solitudine, perchè tutti e tre i film raccontano le vicende di donne che devono affrontare difficili percorsi esistenziali e scelte morali particolarmente ardue. Si è parlato anche di Neorealismo interiore, e la definizione mi sembra appropriata perchè, rispetto a Roma città aperta o Paisà, qui la componente psicologica è decisamente più importante e c'è un vero scavo nei meandri dell'animo di Irene Girard, la sofferta protagonista dell'opera. Rispetto alle altre opere menzionate in Europa 51 si avverte, almeno a tratti, una componente programmatica e una volontà dimostrativa un pò troppo esplicita che vuole caricare di significati spirituali l'odissea della protagonista e che lo avvicina al concetto di opera "a tesi"; resta comunque una pellicola realizzata con grande competenza tecnica, spesso intensa e toccante nei contenuti e quasi mai ricattatoria o troppo scopertamente melodrammatica. La sua ragione d'essere è l'interpretazione di Ingrid Bergman, qui davvero al culmine dell'espressività e della sofferta aderenza al percorso interiore della protagonista, ben doppiata nella versione italiana dalla regina delle doppiatrici nostrane, Lydia Simoneschi (a causa del doppiaggio non potè ricevere la Coppa Volpi assegnatale dalla giuria veneziana nel 1952, che fu ritirata solo nel 1992 dal figlio Roberto, come parziale ammenda per questo episodio insensato; per la cronaca, il film esiste anche in una versione in inglese in cui la Bergman recita con la propria voce). La recitazione della Bergman è uno degli elementi che maggiormente risentono del "modernismo" della regia di Rossellini, che con queste opere apriva la strada al cinema esistenziale del decennio successivo (in primis Antonioni), anche se all'epoca Europa 51 fu accolto in maniera piuttosto fredda, con poche significative eccezioni come quella del grande critico francese André Bazin, ammiratore di Rossellini. La maniera in cui il film affronta tematiche delicate e rischiose come quelle della santità e della follia lo rende appassionante ancora oggi, certamente superiore a certe tardive imitazioni/aggiornamenti come il Cuore sacro di Ferzan Ozpetek. Sconvolgenti le scene di Ingrid Bergman che sperimenta l'alienazione degli operai alla catena di montaggio, che frequenta la casa di una famiglia sottoproletaria per aiutarla, qui anticipando in parte certe tematiche pasoliniane, con un registro stilistico austero, depurato da inutili scorie lacrimose, vibrante nella sua denuncia, figurativamente elegante nella composizione delle immagini. Nel cast buone le prestazioni di Alexander Knox nella parte del marito, del regista Ettore Giannini nella parte dell'amico comunista e di una giovane Giulietta Masina. Un film che merita pienamente la rivalutazione odierna che lo pone fra i capolavori del regista e fra le sue opere più personali, dove ha cercato di conciliare, in maniera filmicamente rilevante, le sue posizioni di artista appartenente all'area cattolica con un marxismo calato nella dura realtà di sopravvivenza delle borgate romane.
voto 9/10
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