Regia di Virgilio Villoresi vedi scheda film
Qual è l’immagine che ancora non abbiamo mai visto? Va cercata dentro di noi, o immediatamente accanto a un’altra che già conosciamo. Per farlo sembra di dover fare un viaggio immenso nella Tana nel Bianconiglio, che invece è tutto uno specchio deformato e non è mai alterità perché l’Altro è dentro di noi. Orfeo di Virgilio Villoresi parte come un viaggio di uno verso l’altra, Orfeo verso Eura, e invece è un viaggio di Orfeo solo, un percorso nella sua mascolinità, nella sua infanzia, nelle sue ossessioni, nelle sue paure. Lo scrigno dell’inconscio si chiude di fronte ai suoi occhi, variegato ma compatto, gli scompartimenti di un cervello che è uno solo, mai realmente incoerente mai realmente uguale a se stesso. Tra Kenneth Anger (ma depurato dal camp, semmai fosse possibile), Mario Bava (anche la recitazione degli attori segue quei requisiti), Jean Cocteau (ça va sans dire), Orfeo è un miracolo fiabesco, ibrido, avventuroso, che chiede un registro altro dalla realtà e lo conficca nelle aspettative dello spettatore fiducioso. Sorvola i campi del surrealismo ma non è mai dadaista, si inventa una sua idea di rigore, pare essenziale e invece è sovrabbondante; ogni momento è un atto di generosità assoluta e sbeffeggia la pura teoria invocando la pura fascinazione per le apparizioni, i colori, le luci, le tenebre rivelatorie, le animazioni, i “nemici” che come in un videogioco vanno affrontati, le quest prosaiche che diventano motivo per vivere e muoversi, la cornice di un sogno che non abbiamo ancora mai fatto.
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