Regia di Mattia Riccio vedi scheda film
Filia Silvis.
Prologo. C’è ‘sta tipa cazzuta, d’or’innanzi nota come Tipa Cazzuta (Angela Potenzano), che è alla ricerca del compagno - deducibilmente scemo - che una settimanella prima s’è perso nel corso di una battuta di caccia in solitaria sui Monti Simbruini, più o meno nella zona dell’In Culo ai Lupi.
Nota. Con tutte le farfalle nostrane disponibili (ninfalidi e papilionidi: vanesse io, antiopa, atalanta, multicolore, del cardo e dell’ortica, apature, pafie, apolli, macaoni, podaliri etc.) proprio un eterocero immigrato (fra l’altro, la monarca americana, Danaus plexippus, manco la monarca africana, Danaus chrysippus, e per di più in evidente CGI: il file “.generic_butterfly” nei server e negli hard disc dei produttori di effetti speciali - in questo caso gli FX Lab tramite i Margutta Studios - dev’essere secondo solo a quello del “.vecchio_che_ride_in_imbarazzo”) doveva utilizzare sui titoli di testa lo sceneggiatore e regista Mattia Riccio, qui al suo esordio nel lungometraggio dopo il medio “Yuria” e il corto “il Secchio”? Matteo Salvini, alza quel grasso culo parastatale che ti ritrovi e fai qualcosa!
Nei dintorni di Arcinazzo non si perde,
non si perde neanche un cretino.
Svolgimento. C’è dunque per l’appunto ‘sto tizio sciatto, d’or’innanzi noto come Tizio Sciatto (Davide Lo Coco), che durante una battuta di caccia al confine tra lo stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie si perde (impagabile il didascalico montaggio alternato tra lui che passeggia ripreso di spalle, lui che si guarda intorno ripreso frontalmente e lui che si fa un riposino in stile...
...“Pensatore” di Rodin) in una millenaria foresta di faggi secolari percorrendo non un sentiero con traccia poco visibile, ma una mulattiera ch’è quasi ‘na carrareccia (“Ma guardi che ci passa un tir, Signora! Vada, venga, basta che si levi dai coglioni!”). Vagando e cristando per quanto è scemo (ha con sé solo un fucile e un binocolo, ha scordato a casa o in auto il telefono - o l’ha perso pur’esso - e non ha borracce né uno zaino di sorta), giunt’ormai il tardo pomeriggio eccolo salire in cima ad un pendio scosceso fino a raggiungere e valicare il limitare della copertura arborea sbucando così (droni a tutto spiano, utilizzati discretamente da Mauro Pagliai) in una prateria di media quota (le chieriche dei vari Monte Calvo, Monte Pelato, Monte Pratiglio, eccetera: nomen montis omen) che lascia aperta la visuale sino alla civiltà (per quanta civiltà ci possa essere tra l’Alto Lazio e l’Abruzzo) costituita da, in piano intermedio, una carrozzabile che intreccia il tragitto dei tralicci di una linea elettrica aerea ad alta tensione e, sullo sfondo, a pochissimi chilometri in linea d’aria, meno di quelli che si possono contare sulla mano di un Simpson, da una parte una lunga teoria di collinette punteggiata ognuna da minuscoli agglomerati di casupole detti anche paeselli...
...dimenticati da Dio e dagli uomini ma comunque dotati di 5G, casette in pietra vendute a 1€ e una pletora di murales attira-famigliole & fricchettoni e, dall’altra, un’ampia valle fluviale ben visibile...
...in relativa lontananza, scavata e solcata da un fiume, ferita da una statale e offesa da una capannonica zona industriale: ma lui - ve lo ricordate o ve lo siete già dimenticato, eh? - è scemo, e ha deciso che si è definitivamente perso, perciò ritorna sui suoi passi perdendosi ancora un po’ di più, perdendosi meglio, sino ad arrivare sulla soglia di un villino a due piani con depandance e garagino annessi (evidentemente tutto abusivo) spuntante nel bosco e arredato con aiazzonici mobili Ikea, berlusconiche croste di pitture materiche informali à la TeleMarket e discutibili...
...tappezzerie, ché le carte da parati staranno pure tornando di moda, ma, insomma, c’è un limite a tutto, no? (In realtà, poi, sarebbero pure uno degli elementi più passabili.) Paura, eh? E qui la storia ha inizio. (Fine.)
Nota. Non ho capito se l’intento del regista sia stato quello di farci capire quanto fosse scemo il suo personaggio oppure non sia riuscito a trovare in tutta Italia un paesaggio che non contenesse segni di civiltà: nel secondo caso gli consiglierei una visita a Desio, Cormano o Abbiategrasso. E pure la resa dell’espediente “girare in cerchio” e del “passare più volte per un dato punto”, al netto dell’essere un dispositivo usurato e quindi da maneggiare con cura, consapevolezza, sicurezza ed inventiva, è strutturato male, anche se alla fine i conti – spiegonici – tornano tutti: ad esempio il fatto che il cacciatore sbagli mira mancando il cervo (anch’esso in CGI).
Vieni,
c’è un casa nel bosco,
il suo arredatore conosco:
vuoi conoscerlo tu?
Il maggior punto debole del film è il “disunimento” tra sceneggiatura e realizzazione: le riprese, con la pedissequa messa in scena dei dialoghi impacciatamente ampollosi senz’alcun intervento (o così, al meglio delle ipotesi, è dato dedurre) di rifinitura in loco/set, e il conseguentemente “faticoso” montaggio (Gioele Giovannetti) del materiale esistente.
La parte migliore, invece, anche se ciò non salva l’opera, è - oltre a, come dire, una "certa" atmosfera - quella attoriale: oltre ai già citati Davide Lo Coco, il protagonista, anche autore del soggetto con Mattia Riccio, e Angela Potenzano, sono discrete le prove di Giulia Malavasi e della co-protagonista (che infatti ricopre, senza spoilerare alcunché, due ruoli, fra cui proprio quello del Genius Loci dell’Hortus Conclusus: la Filia Silvis) Giorgia Palmucci (“Come Pecore in Mezzo ai Lupi”).
Epilogo. Siam dunque più dalle parti di “Janara” (Roberto Bontà Polito, 2014) o dei comunque migliori “Oltre il Guado” (Roberto Bianchini, 2013), “the Ritual” (David Bruckner, 2017), “A Classic Horror Story” (De Feo & Strippoli, 2021) e, tra l’altro ambientato nelle stesse zone di "la Figlia del Bosco", del "Pantafa" di Emanuele Scaringi del 2023, piuttosto che dei ben più riusciti “Sauna” (Antti-Jussi Annila, 2008), “Without Name” (Loracan Finnegan, 2016), “November” (Rainer Sarnet, 2017), “Hagazussa: der HexenFluch” (Lukas Feigelfeld, 2017) e “You Won't Be Alone” (Goran Stolevski, 2022).
Fotografia di Santiago Serratos, MdP operata da Roberto Mencherini, scenografie di David Natale, suono in presa diretta di Yann Fadanelli, musiche di Francesco Fortunato.
E fra tutti questi "Alberi" filtra anche una prolegomenica lama di luce proveniente dal "lontano" ricordo di Ernesto De Martino: ma non esageriamo.
* * ¼/½ - 4.75
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