Regia di Teemu Nikki vedi scheda film
Vero, interessante ed estremo insieme. Sul legame di molti con l’alcol, patologico e non.
La sofferenza esistenziale viene esibita, con i conseguenti modi per evadervi: l’uso e l’abuso dell’alcol vengono mostrati per quello che sono. Un bene, laddove proprio sembra che non ci sia alternativa, per quanto ciò sia sintomo di disperazione e disagio; un male, per l’evidente inabilità cui ciò conduce (legittimamente le sorelle dipendenti dall’alcol vengono licenziate, in quanto non lavorano in modo sufficiente; e poi inevitabilmente si rammaricano di ciò).
Il lato demenziale è gestito in maniera oculata: serve a far ridere; a rendere apprezzabili certe scelte, per quanto di prim’acchito censurabili. Certo, può dispiacere ai bigotti, e in generale a chi è privo di ogni intento di comprensione umana.
Il ritmo poi è incalzante: forse sono anche troppi, ma tutti i colpi di scena, e i rovesci, fanno interessante la trama. Rendendo la sceneggiatura ciò che è: tutt’altro che misera, come può anche sembrare a un primo sguardo, ma impregnata – nel suo modo, paradossale e urtante assieme – di autentica, e seria, investigazione dell’umano.
Tant’è che gli aspetti psicoanalitici sono profondi: il senso di colpa; le rivalità e le geometrie intra-familiari; il mancato riconoscimento da parte di un padre cattivo; l’utilizzo dell’arte – qui commuovente - come mezzo di espressione, quando non ne rimangono altri socialmente accettabili; la generosità (delle sorelle la cui birra non viene quasi mai pagata puntualmente) non corrisposta…
Ma sono ben riusciti anche gli esiti sociologici: oltre ai già citati rapporti familiari (comprendendo anche quelli fra cugini, che in un villaggio sono intensissimi), anche i rapporti stretti, appunto, di un villaggio, qui letti soprattutto in chiave critica: terribile per il suo conformismo, per la pochezza della sua possibilità.
Stupenda poi è la sequenza, di pochi minuti, della produzione della birra. Un’arte, mostrata giustamente con orgoglio, da parte di chi vi eccelle. Che andrebbe apprezzata, culturalmente parlando, non solo da chi la gusta.
L’alcol aiuta a rendere più sopportabile, e anche più gradita, la vita; ma facilmente, se gestito senza controllo, si tramuta in una condanna delle peggiori, una dipendenza che può rovinare una vita intera.
Questo prodotto completamente finlandese sarà volgare, è vero: ma ha un senso umano profondo. In tempi in cui ancora il politically correct della globalizzazione continua a mostrare i suoi aspetti apprezzabili, così come i tanti censurabili, questo film scritto e diretto da Teemu Nikki fa riecheggiare virtuosamente l’importanza dell’autenticità e della tradizione. Senza affatto indulgere alla, contrapposta, propaganda sovranista. Ed esibendo una fotografia, montaggio e tempi (specie per l’effetto sorpresa) ottimi.
Insomma, si ride e si riflette. Come vuole la vera commedia.
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