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Conclave

Regia di Edward Berger vedi scheda film

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La recensione su Conclave

di Fabelman
7 stelle

Un’opera contraddittoria su un mondo contraddittorio di per se. Una pellicola dall’eccellente andatura e dal ferreo equilibrio coi chiari connotati del thriller, un film solidissimo che in determinati punti cruciali perde inaspettatamente la propria consistenza. Ha il pregio di chiedere: la scelta del pontefice è più un affare di stato o di chiesa?

Originalissimo thriller che penetra le sfere vaticane per osservare l’inosservabile, giudicare l’ingiudicabile, rendere tangibile ciò che per secoli è stato reso volutamente impalpabile, rarefatto, aleatorio, la cui coltre di mistero è costruita ad arte per tracciare il confine dell’indissacrabile affinché il dogmatico manto di cui è avvolto continui a suscitare riverenza e assegni a ogni elezione e giudizio emesso connotati di insindacabile natura, pura e al di fuori della portata umana, assicurando ogni dubbio, critica e perfino condanna provenienti dal mondo esterno al peccato di profanazione.

È dietro questa scorza che si difende e opera un conclave, è dentro queste viscere e meandri che ci porta “Conclave”.

Tratta dall’omonimo romanzo di Robert Harris, la pellicola è diretta egregiamente dall’austriaco (e con nazionalità svizzera, tanto per restare in tema di affari interni vaticani) Edward Berger, già apprezzato per il recente “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.

Lo stile della regia è perfetto: solido, dovutamente riverente e compassato, comprensibilmente senza virtuosismi, con un fare alquanto canonico, verrebbe da dire.

La sceneggiatura fa il suo affinché la barra venga tenuta dritta, rigida, ma al tempo stesso il clima, il ritmo e le dinamiche tengono vivo lo spettatore, l’ingranaggio non è mai appesantito per quanto il tono sia di per se greve.

L’incipit è essenziale e superbamente diretto e inscenato: il Papa appena deceduto è sottoposto alle procedure di rito e la macchina vaticana si mette in moto per avviare il processo di successione al trono, il tutto sotto l’egida guida del decano.

Sin da subito emerge tutto il lato umano di un’istituzione che vive della sua aurea mistica: dubbi, sotterfugi, complotti, alleanze e correnti politiche, colpi bassi e tentativi di manipolazione, l’essere umano in ogni suo aspetto. Appunto per questo la sceneggiatura ha il pregio di mantenere la bilancia ben equilibrata e calibrata: vi sono pertanto uomini pieni di virtù e buone intenzioni, che lottano contro se stessi, i loro dubbi sulla fede e l’istituzione stessa della Chiesa cattolica, i loro sensi di colpa.

Ambizione e corruzione vengono bilanciate da riverenza e sincerità d’animo, in questo risiede uno dei grandi meriti del film, che non esprime né suggerisce giudizi, non è presuntuoso e pretestuoso nel presentare una realtà così articolata e complessa che è pur sede di un così immenso potere.

La clausura della classe cardinale per l’elezione papale diventa dunque momento di confronto e di scontro, di opinioni e suoi ribaltamenti, di vittorie e sconfitte personali per un ruolo a cui ogni clericale aspira nel momento in cui viene nominato cardinale (Stanley Tucci docet). 

L’istituzione ecclesiastica viene presentata per quella che è, senza sublimarne i concetti: né leale né ipocrita, né pura né corrotta, né sacra né profana, semplicemente umana con tutte le sue innumerevoli contraddizioni.

Il cast allestito è notevole e tutti gli interpreti sono in gran forma, a partire dall’eccellente Ralph Fiennes nelle vesti del cardinale Thomas Lawrence, il decano sotto la cui supervisione il conclave espleta il suo compito; Stanley Tucci interpreta il controverso e combattuto cardinale Aldo Bellini, mentre la figura femminile di spicco è affidata a Isabella Rossellini nella parte della suora Agnes. Splendidamente calati nei rispettivi personaggi, Fiennes è quello che sfodera la performance più di rilievo.

Gran lavoro da evidenziare per le scenografie e i costumi, artefici nell’offrire allo spettatore uno spaccato della realtà vaticana, dei suoi ambienti, delle sue liturgie, il tutto in maniera sobria, mai pomposa, sempre gradevole e moderata.  

A dispetto degli enormi pregi di quest’opera, fanno specie e offrono rammarico (e una certa dose di rabbia) gli imperdonabili vuoti di cui improvvisamente soffre la sceneggiatura, proprio nei momenti cruciali della storia; i capovolgimenti di fronte, i colpi di scena, sono trattati in maniera superficiale e banale, con fare totalmente stridente col resto (eccezionale) della pellicola.

Alcuni esempi: 

- l’intervento della sorella Agnes con cui si delegittima la candidatura papale del cardinale Joseph Tremblay (interpretato da John Lithgow) è fin troppo banale, un momento di riscatto femminista in uno dei contesti in cui il patriarcato impone e legittima la supremazia dell’autorità maschile. . .un vero e proprio scivolone! 

- il cardinale Lawrence mentre, doverosamente titubante, consegna il proprio voto con il quale vota sé stesso e, in preda alle turbe della sua coscienza, avviene la punizione “divina” seduta stante (sembrava un intermezzo onirico, che avrebbe avuto il suo senso, purtroppo invece era reale!).

- l’intervento del cardinale Goffredo Tedesco (il nostrano Sergio Castellitto, capace di rendere il personaggio dalle fattezze tipicamente italiane), con cui praticamente si auto-delegittima, è altrettanto intriso di grottesca retorica e superficialità, uscendone pienamente banalizzato; il personaggio in questo frangente (ma per il resto dei suoi interventi non è da meno) è reso una vera e propria macchietta.

E poi questo (“benedetto”) finale: spiazza, disorientata, stride, fa cascare un pò le braccia, sinceramente. . .un argomento così inaspettato e allo stesso tempo delicato, complesso, viene trattato in maniera imperdonabilmente sbrigativa, buttato lì quasi per caso. È sembrato il classico caso in cui qualcuno lancia la pietra e poi nasconde subito il braccio; quanto meno lo spettatore andava accompagnato nel comprendere i dettagli del colpo di scena e aiutato nel metabolizzare i risvolti di una situazione di tale portata.

Se l’obiettivo era rendere la pellicola più politically correct si è mancato clamorosamente il bersaglio; se la mira era insinuare la possibilità che in passato sia potuto accadere qualcosa del genere o che segreti incoffessabili simili accomunino ogni singolo Papa eletto si scade nel pretestuoso; se invece il messaggio lascia intendere che tale scelta (provocatoria? anti-canonica?) sia stata guidata dall’alto come segno divino di svolta sulla linea da tracciare in merito alla considerazione dell’identità di genere dell’essere umano, si va verso il tendenzioso. Per la faciloneria con cui è stato servito allo spettatore l’argomento, il colpo di scena finale, è stato sorprendentemente un colpo maldestro; il colpo è stato sferrato senza dargli un indirizzo chiaro, doveroso, dovuto.

Nel computo finale questi improvvisi quanto imperdonabili crolli incidono pesantemente, la pellicola avrebbe meritato di uscirne a pieni voti mentre nella sua cavalcata zoppica vistosamente. 

La sceneggiatura di Peter Straughan (premiato e apprezzato nel 2012 per l’eccellente sceneggiatura del film spionistico “La talpa”) si aggiudica comunque l’accoppiata Golden Globe/Oscar; altre 7 candidature agli Oscar e 5 ai Golden Globe (oltre a un trionfo assoluto ai BAFTA) certificano l’assoluto valore complessivo di questo lavoro.

Questa è una pellicola indubbiamente divisiva, i pareri discordanti sul film possono aprire allo scontro; bisogna allora ricordarsi, usando le parole del cardinale Lawrence/Fiennes, che: “Questo è un conclave, non è una guerra”, anche se alcuni la penseranno diversamente come il cardinale Bellini/Tucci: “Si che è una guerra.”

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