Regia di Fritz Lang vedi scheda film
"La donna del ritratto" è uno dei Noir più archetipici che esistano, un film che in qualche modo ha contribuito a definire il genere, uscito lo stesso anno di "La fiamma del peccato" di Billy Wilder, altra pellicola fondamentale della corrente, non a caso ugualmente interpretata da Edward G. Robinson.
Fritz Lang aveva già diretto in America film che potevano essere considerati antenati del Noir come "Furia" o "Sono innocente", dove vi era una forte carica di denuncia a livello sociale, ma nel 1944 decide di staccarsi da questa modalità espressiva per realizzare una pellicola fortemente onirica che racconta di un professore di psicologia che rimane invischiato in un torbido intrigo criminale dopo aver incontrato una "Femme fatale" che aveva visto rappresentata in un quadro esposto nella vetrina di una galleria. Il film ha un andamento apparentemente realistico, sospeso fra istanze contraddittorie che troveranno soltanto nel finale uno scioglimento che però non fu apprezzato da diversi critici; resta la minuziosa indagine poliziesca su un delitto che il protagonista ha commesso per legittima difesa in un momento in cui era sbucato dal nulla l'amante della donna del ritratto, molto geloso, ma in questo film le apparenze nascondono tutte un fondo oscuro, pericoloso e angoscioso che risulta elemento imprescindibile per la definizione dell'intero genere.
In questo caso la sceneggiatura di Nunnally Johnson si è rivelata una solida base per un film dalle valenze così archetipiche, con un sottofondo psicanalitico certo più efficace rispetto al pur pregevole "Dietro la porta chiusa" di qualche anno successivo e con un terzetto attoriale formidabile composto da Robinson, dalla splendida Joan Bennett e da Dan Duryea, tutti così perfetti nei rispettivi ruoli che verranno confermati l'anno successivo per "La strada scarlatta", un Noir che non sfigura con "La donna del ritratto" e che attesta l'eccellenza registica di Lang in questa fase della sua carriera. Sul ribaltamento di prospettiva finale che riporta tutta la vicenda ad un sogno, si può considerarlo un trucco un po' facile dello sceneggiatore, ma considerando che all'epoca questa soluzione non era così usurata come lo sarebbe divenuta in seguito, e anche il fatto che si ricollega ad una valenza onirico/psicologica della scrittura, si può accettarlo anche all'interno di una valutazione entusiastica, senza considerarlo come una caduta che rovina il valore del film. Ottima colonna sonora di Hugo Friedhofer che ottenne l'unica nomination all'Oscar per il film e che apporta un commento musicale appropriatamente grave ma allo stesso tempo romantico alla vicenda.
Voto 9/10
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