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Esterno notte

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su Esterno notte

di Baliverna
8 stelle

Il vecchio Bellocchio gira una buona fiction, che brilla in un settore dove i prodotti sono piatti e fatti con lo stampino.

Ero un po' scettico, perché è passato a puntate su Rai 1 in prima serata, come tutte le fiction di più basso livello. Il nome di Bellocchio, tuttavia, mi ha convinto a guardarlo comunque. E pure l'argomento mi interessava.

Ebbene, non ne sono affatto deluso. Il regista ne ha tratto un'opera corale e frastagliata, di cui però non perde il controllo e mantiene la sua unità. L'idea di tracciare diversi filoni narrativi paralleli risulta vincente, perché la mole di materiale e di personaggi era troppo consistente per seguire un unico corso narrativo con tantissime ramificazioni. I dialoghi sono ben scritti e mai banali, e gli attori recitano con intensità, e allo stesso tempo con misura. Il risultato è che l'ho seguito senza mai annoiarmi, ammirando anzi alcuni episodi e sequenze. Manca del tutto la tipica aria finta e leccata delle fiction televisive, dove tutto è lucidato, farlocco e inverosimile.

Quanto all'arcinota e triste vicenda narrata, Bellocchio pone l'accento sull'ambiente infido e maleodorante della Democrazia Cristiana, con le sue correnti e rivalità interne, con l'opportunismo e il cinismo di molti dei compagni di partito di Aldo Moro. È proprio tra di essi che lo statista aveva i suoi maggiori nemici, o i maggiori vigliacchi e opportunisti che non fecero quanto potevano per liberarlo dalle mai dei Brigate Rosse. Perché così tornava loro comodo, perché Moro era un elemento estraneo rispetto ai cinici calcoli di potere, e al ruolo internazionale (limitato) che era stato assegnato all'Italia dopo la fine della guerra. Cossiga lo voleva libero, ma era troppo preoccupato di dispiacere agli americani. Andreotti era troppo ambiguo, opaco e indecifrabile per capire cosa esattamente volesse; certo, però, non voleva liberare il suo compagno di partito ad ogni costo. E molti altri nella DC ghignavano quando si prospettò la possibilità di sbarazzarsi di lui.

Dal film la DC dell'epoca esce letteralmente a pezzi, e forse è giusto così. Quelle stesse facce di cera avrebbero approvato la legge sull'aborto pochi giorni dopo la morte di Moro, proseguendo così il lento suicidio del partito, ormai prossimo alla rottamazione.

Del contesto internazionale si parla pochissimo, e forse questo è un piccolo limite del film. Moro aveva pestato i piedi a molti, e aveva ricevuto minacce esplicite da Kissinger. Bellocchio si riserva tuttavia di tirare una rasoiata (velata, ma fendente) agli americani con il personaggio dell'esperto inviato in Italia. Verso la fine, infatti, questi lancia l'idea di emanare un falso comunicato BR sull'esecuzione del prigioniero, di verifica difficile (il lago della Duchessa), per sondare la reazione degli italiani ad un'eventuale morte di Moro.... L'aria rassicurante e melliflua del personaggio, assieme all'idea del falso comunicato, lo rendono disgustoso.

Mi è piaciuta anche la rappresentazione dei terroristi, nella loro diversità l'uno dall'altro. Il loro ritratto psicologico l'ho trovato convincente e verosimile, compresi i rimorsi di coscienza e i dubbi per le azioni più turpi e vigliacche, come l'esecuzione della condanna a morte verso quello che era ormai un pover'uomo, mite verso i suoi stessi aguzzini. O i rimorsi della Faranda dopo il vile assassinio del professore, crivellato di colpi sulle scale del suo istituto. A proposito, la sequenza è un capolavoro di realismo e orrore. La gabbia ideologica del movimento, però, spinge i suoi membri a giustificare tutto ciò come necessario.

Ho trovato bravi tutti gli attori, ma mi soffermerò solo su quelli ben noti. Fabrizio Gifuni nella parte di Moro stesso mi ha convinto, e gli assomiglia molto. Meno, invece, gli attori che interpretano Cossiga e Andreotti. Toni Servillo, nella veste di Paolo VI, mi è piaciuto, e do atto all'attore che non ha fatto il gigione e non ha fatto del Papa una caricatura. Margherita Buy, dal canto suo, è una credibile Eleonora Moro, che ci regala diversi momenti di recitazione sensibile e sottile.

Marco Bellocchio, che non è mai stato tenero verso la Chiesa, qui la tratta con rispetto, e si limita a rappresentarla come un ambiente vetusto, popolato da un clero senescente e malaticcio. L'impegno di Paolo VI per la liberazione di Moro viene però fedelmente restituito.

L'ambientazione d'epoca è essenziale ma curata, e non mi paiono note stonate i vari squarci sulla realtà socio-politica di quegli anni turbolenti, quando la società era innervata di ideologie estremiste ed assassine, le quali chiedevano agli adepti la violenza e la lotta armata, allo scopo di prendere il potere con la forza. Altro che democrazia. Buoni ho trovato anche gli accenni allo sbandamento della gioventù, alla droga, e all'odio del padre, figlio del '68.

L'onestà di Bellocchio nella rappresentazione di tutto ciò è tanto più apprezzabile se pensiamo che negli anni delle rivolte giovanili egli era stato un giovane arrabbiato, assimilabile a diversi piccoli personaggi del film.

Fiction per la TV sì, ma della migliore, dalla quale i giovani registi e sceneggiatori devono imparare.

 

 

 

 

 

 

 

 

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