Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Karin è una giovane ingenua, che viene violentata e uccisa da tre pastori durante un viaggio per un rito religioso nel Medioevo svedese. Per una crudele ironia della sorte, i tre assassini cercano rifugio nella casa dei genitori di Karin, che ignari li accolgono, fino a quando la verità non viene scoperta e il padre si prepara a una vendetta brutale. Il viaggio di Karin per portare dei ceri alla Madonna rappresenta la purezza, la fede e il sacro. Il suo carattere viziato e civettuolo, tuttavia, la rende vulnerabile, sottolineando la fragilità dell'innocenza di fronte alla malvagità umana. L'aggressione e l'uccisione di Karin da parte dei pastori simboleggiano la violenza gratuita e la corruzione dell'innocenza nel mondo. Il padre di Karin, Tore, incarna la giustizia pre-cristiana e la vendetta, uccidendo non solo gli aggressori, ma anche un innocente (il bambino), riflettendo la natura spietata della giustizia medievale. Tore, nonostante sia cristiano, ricorre a un antico rito di vendetta, mettendo in luce il conflitto tra la fede antica e quella nuova, e tra la legge divina e quella umana. La sua preghiera finale di perdono, mentre non comprende la volontà di Dio, riflette l'angoscia dell'uomo di fronte al male e al silenzio divino. Il film presenta il male come banale, immotivato e istintivo, quasi animalesco, evidenziando l'impotenza della ragione di fronte ad esso. La violenza non ha una logica apparente, e gli uomini appaiono come burattini in balia dei loro inferni emotivi. La scoperta della sorgente d'acqua nel luogo della morte di Karin è un simbolo di purificazione, rinnovo spirituale e grazia, che emerge anche dalle tragedie più oscure. Il finale, con la benedizione del padre e il miracolo, suggerisce la possibilità di redenzione e di una dimensione superiore, al di là della mera vendetta. Il film esplora il travaglio tra fede e dubbio che attanaglia l'uomo, desideroso di conoscere Dio ma tormentato dal suo silenzio e dalla sua assenza. L'invito finale è a mantenere la fede, pur nella consapevolezza del male e nell'imperscrutabilità dei piani divini, affidandosi a Dio anche senza comprenderlo. Basandosi su una leggenda medievale, la sceneggiatura di Ulla Isaksson e Bergman è considerata un'opera di altissimo rigore espressivo, che riduce l'azione all'essenziale. A differenza di altri lavori del regista, la trama è lineare e la durata contenuta, rendendo l'esperienza più accessibile. I dialoghi sono sostanziali ed efficaci, ma la forza narrativa si affida più ai gesti, agli atti dei personaggi e ai potenti rituali arcaici. La regia traduce le istanze etiche e religiose con una potenza visiva inaudita, focalizzandosi sulle scenografie e sui volti dei personaggi.Bergman eccelle nel mettere in scena i contrasti tra ragione e passione, cristianesimo e paganesimo, natura spettrale e focolare domestico. Il film è caratterizzato da un misticismo severo e aspro, che non esclude la rappresentazione della violenza più atroce, creando un'atmosfera carica di tensione. La ricerca dell'esemplarità attraverso gesti e atti, piuttosto che dialoghi, è un aspetto di straordinaria modernità per il cinema dell'epoca. La regia lavora molto sui contrasti drammatici, ponendo al centro il rapporto tra l'uomo e Dio, la fede e il dubbio, la violenza e la purezza. il grande Max von Sydow offre una performance straordinaria. La fontana della vergine è un capolavoro di Bergman che esplora in modo toccante il conflitto tra fede e dubbio, offrendo una narrazione potente sulla sofferenza, il male e la ricerca di redenzione in un contesto medievale di grande bellezza visiva e rigorosa espressione. È una storia tragica ma con un messaggio finale di speranza, vincitrice dell'Oscar come Miglior Film Straniero, e si distingue per la sua capacità di comunicare attraverso immagini e un'atmosfera mistica. (Wes Craven per il suo "L'ultima a casa s sinistra", si ispirò a questo film)
La fontana della vergine (1960): Birgitta Petterson, Max Von Sydow
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