Regia di Edoardo Falcone vedi scheda film
Roma, Stato della Chiesa, 1829. Bartolomeo Proietti, detto Meo, è un borghese, ricchissimo ma non altrettanto potente, in quanto, in tal contesto, è la nobiltà che si raccoglie intorno al pontefice che prende le decisioni più importanti. Meo, dunque, stringe un accordo con il principe Ottavio Accoramboni, il quale gli "offre" la mano della figlia ed il titolo nobiliare, in cambio di una cospicua somma di denaro, in grado di risolvere i problemi economici del "cedente". Improvvisamente, la somma non è più disponibile ed il tempo per contrarre il matrimonio stringe. Meo, uomo superbo ed avido, perde la testa pur di soddisfare la sua ambizione; qualcuno che tiene molto a lui, non può fare a meno d'intervenire. Liberamente ispirato a "Il Canto Di Natale", racconto di Charles Dickens oggetto di innumerevoli adattamenti, cinematografici e non, "Il Principe Di Roma" è una commedia fantastica ambientata in una capitale papalina ammantata di mistero. Il protagonista, interpretato da Marco Giallini, è un uomo di mezza età, le cui difficoltà infantili - apprendiamo durante le visite di tre "fantasmi" che egli riceve in sogno - ne hanno segnato la crescita. Meo è un orfano; ha conosciuto la fame nera e contemporaneamente l'opulenza della nobiltà. A causa di un evento nefasto che egli ha percepito come un abbandono, ha deciso che avrebbe dovuto impegnarsi al massimo, per migliorare la propria condizione; ci è riuscito, diventando tuttavia sempre più ambizioso, avido, smanioso, scontroso. Con la ricchezza, sono arrivati anche i postulanti; egli se ne è sbarazzato in maniera sgradevole. Alla stessa stregua tratta la servitù; ne fa parte anche Teta, una governante, la quale, essendo innamorata di lui, giunge a tollerarne gli approcci sessuali, nella speranza che ciò possa portare a qualcosa di buono. Non potendo arricchirsi ulteriormente, Meo avvia la scalata al potere temporale, degradando ulteriormente la propria moralità, poichè accetta di sposare una ragazza che con ogni evidenza non prova per lui alcun sentimento. Eppure, qualcosa per lui ancora si può fare. L'evoluzione della vicenda lo mostra in contatto con tre "spiriti", i quali gli appaiono in sequenze oniriche; essi lo riportano alle origini, gli mostrano i momenti belli e brutti del suo passato; gli fanno comprendere come il suo carattere sia peggiorato, cedendo alle lusinghe della ricchezza, all'egoismo, alla superbia, alla brama di potere. E di come ciò abbia compromesso il rapporto con le persone che lo circondano. Meo è odiato, deriso; pur con il suo benessere materiale ispira negli altri pena e disprezzo. Comprende d'essere condannato alla solitudine. Medita sui suoi errori e sulle conseguenze; si pente e si adopera per "raddrizzare" le sorti ... propria ed altrui. Marco Giallini è affiancato sul set da un valido cast. Giulia Bevilacqua interpreta Teta, una che ... non gliele manda a dire; Sergio Rubini è il principe Ottavio Accoramboni, un nobilastro poco consapevole del livello di scorrettezza della sua condotta di vita probabilmente perchè d'uso nel suo ambiente; Filippo Timi, Denise Tantucci e Giuseppe Battiston interpretano le tre "ombre", ispirate ad altrettanti personaggi storici, che appaiono al protagonista per aprirgli gli occhi. Il ritmo è costante; i dialoghi sono composti in un dialetto romanesco molto di maniera, comprensibile a tutti ed arricchito di espressioni e figure di utilizzo una volta frequente tra la gente capitolina (esempio, gli "alberi pizzuti" per camposanto). la Roma papalina è una città misteriosa, inquieta, iniqua, sospesa tra presente - le istanze connesse alla proclamazione della Repubblica Romana - e passato - il predominio dei nobili, che si stringono, pur senza amarlo, intorno alla figura del "papa-re", la quale ne legittima l'esistenza; la giustizia capitale, dispensata a piene mani dal boia, Mastro Titta. Toni in bilico tra commedia e dramma. Il lieto epilogo, connesso alla rivelazione dell'identità di un benefico deus ex machina, tira via qualche lacrima. Una discreta rivisitazione di un classico senza tempo, il quale invita al miglioramento di sè, da raggiungersi, a seguito di un processo d'introspezione, mediante la condivisione e la solidarietà; della rinuncia agli egoismi in favore di un gratificante arricchimento morale.
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