Regia di Elio Petri vedi scheda film
Terzo e ultimo capitolo della cosidetta "Trilogia della nevrosi". Forse il meno conosciuto dei tre, ma forse il più inquietante e impressivo del trittico.
Un giovane impiegato di banca che usa i guanti per maneggiare il denaro vuole mettere in ginocchio l'ideologia capitalista aiutato da uno scassinatore e se la prende con un macellaio.
"La proprietà non è più un furto" è una delle opere più sovversive e concettualmente ardite del cinema italiano degli anni ’70. Elio Petri firma un film che sfida apertamente ogni convenzione narrativa e ideologica, costruendo una satira grottesca, visionaria e profondamente lucida sulla società capitalista e sul feticismo della proprietà. La trama – un ex bancario che, afflitto da una sorta di allergia al denaro, decide di colpire simbolicamente un macellaio incarnazione della ricchezza borghese – è solo il punto di partenza per una riflessione stratificata e disturbante sull’identità, sull’alienazione e sulla libertà.
L’interpretazione di Flavio Bucci è straordinaria per la sua intensità nevrotica e dolente, mentre Ugo Tognazzi offre un ritratto memorabile, insieme comico e inquietante, dell’uomo che misura il proprio valore in base a ciò che possiede. Il tono oscillante tra farsa e tragedia è orchestrato con sapienza, e la regia di Petri – visionaria, simbolica, teatrale – impone un ritmo ipnotico che destabilizza e coinvolge. È un cinema che non cerca di confortare lo spettatore, ma di interrogarlo, scuoterlo, provocarlo.
Questo film non è solo una critica alla disuguaglianza sociale, ma anche un’indagine esistenziale sul vuoto che si nasconde dietro l’accumulo, sull’angoscia che nasce dal desiderio e sull’assurdità delle regole che governano la vita moderna. A distanza di decenni, resta un’opera attuale, pungente, necessaria. Un cinema che pensa e fa pensare, con un coraggio formale e tematico oggi sempre più r
aro.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta