Regia di Edgar Wright vedi scheda film
La prima parte è incantevole, vorticosa e seducente, così impregnata negli anni, nei colori, nell’atmosfera e nel fascino vintage di un’epoca irripetibile e mirabilmente restituita ai nostri occhi. A lungo andare però il film si sfilaccia, si fa cerebrale, diventa un horror grossolano (gli spettri in b/n “mummificati” sono irricevibili), gioca in maniera sbilanciata e confusa con identità, salti temporali e ritornanti colpe rimosse. Un trip straniante, ma non in senso positivo (in altre parole, un corri e fuggi attraversato da frastornanti momenti psichedelici da emicrania).
Colpo di scena nel finale, ma non salva la baracca, poiché “Ultima notte a Soho” scivola troppo spesso nel cliché visionario (quelle mani che spuntano da pavimento e pareti nel finale) e nel cattivo gusto (la scala che si deforma, le già citate apparizioni fantasmagoriche). Tutto questo col solo blando scopo di mettere in scena l’ennesima storia #MeToo camuffata da omaggio agrodolce ai tempi (anche cinematografici) che furono. Sembrava cinema, invece è un illusione.
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